5 Percorsi con adulti: dalla iniziazione alla maturità di fede

5. Percorso per la crescita della fede degli operatori pastorali.

1. Descrizione della figura:

Ogni comunità cristiana, in quanto Popolo Messianico e Corpo Mistico di Cristo, realizza la sua missione per mezzo delle qualità di sacerdote, re e profeta e esprime, nel suo insieme una ministerialità al servizio del Regno. Ogni persona, per il Battesimo e la sua appartenenza alla comunità, ha queste caratteristiche. Per divenire operative, queste possibilità debbono incarnarsi in soggetti specifici che sono disposti a mettere al servizio della comunità i propri carismi e le proprie competenze. Questi soggetti sono gli operatori pastorali. In altre parole potremmo dire che l’operatore pastorale partecipa della ministerialità della Chiesa locale espressa dalla guida del Vescovo. Il Vescovo possiede ed esprime il ministero della “sintesi” e i singoli operatori collaborano con lui in uno degli aspetti necessari per la vita e la missione della chiesa locale.

Abbiamo già accennato che la vita della Chiesa cattolica, come quella locale o una piccola comunità, è fondata su quattro pilastri i cui nomi derivano dal greco antico. L’azione degli operatori pastorali si può svolgere proprio secondo queste quattro direttrici:

La Koinonia. Questo dono (carisma) si manifesta nella relazione, nello “stare insieme” ed indica l’amore, la fratellanza, la solidarietà che devono legare insieme gli appartenenti ad una comunità cristiana. Questi doni sono necessari per realizzare la qualità di vita della comunità che è già missione. Attualmente nelle Parrocchie non esiste, in genere, un programma di preparazione per questo servizio, che viene lasciato alla buona volontà dei volontari. In verità si sente il bisogno di individuare persone che si occupino della: informazione, formazione delle relazioni umane, comunicazione interpersonale, ascolto e consiglio, riconciliazione e quanto altro permette di esprimere una vera relazione umana.

Il Kerigma. Servono il Kerigma i predicatori: il sacerdote al momento della Liturgia della parola, i catechisti, i missionari, coloro che fanno visita alle famiglie, chi svolge attività culturale e l’intera comunità riunita per interpretare e attualizzare nell’oggi quell’annuncio sempre valido.

La Liturgia. L’azione liturgica propriamente detta si riferisce alla Eucaristica e le celebrazioni Sacramentali, ma lo sono ugualmente anche gli incontri di preghiera e penitenziali. Si occupano di dare un servizio in questo senso gli operatori liturgici e tra questi, i ministeri istituiti dell’accolitato e del lettorato, nonché i ministri straordinari dell’Eucaristia. Si avverte forte il bisogno di avere ministeri legati alla spiritualità e alla lectio.

La Diaconia. Il servizio di Diaconia è quello più noto col termine latino di “Caritas”, come pure sono ben noti e numerosi gli operatori caritas che svolgono un’azione di volontariato capillare e meritoria. Esso concretizza la vocazione messianica della comunità. Si manifesta nella multiforme azione di solidarietà ma anche nella educazione della comunità stessa. Non può mancare inoltre le forme della “carità politica” che nel territorio si manifesta nella attenzione alle scelte che le forme di governo realizzano.

Il cammino di fede degli operatori pastorali avrà perciò una parte comune in quanto cristiani e tutti corresponsabili e impegnati nell’azione evangelizzatrice generale dell’intera comunità e della Chiesa universale. Seguirà una parte specializzata per quella dimensione verso cui si sentono portati dal carisma che li anima.

In una comunità tutta ministeriale il “ministero della sintesi” del Vescovo è reso presente dalla azione pastorale del suo rappresentante: il ministro ordinato. Tuttavia la complessità delle grandi parrocchie di città, la necessità di dare continuità alla storia delle parrocchie, la crescita apostolica del laicato, sta facendo maturare in molte chiese la opportunità di riconoscere anche in alcuni laici il ruolo di guida e di “sintesi”. Possiamo chiamare questa figura pastorale animatore pastorale (coordinatore, etc.).

Il compito dell’animatore pastorale allora sarà quello di animare il cammino di fede dei fratelli e di sostenere il servizio ministeriale a favore dei credenti per la crescita spirituale e la realizzazione della comunità per la costruzione del Regno in un dato luogo.

2. Obiettivi/competenze

Il cammino ha come scopo formare e consolidare la coscienza dell’appartenenza alla comunità e la corresponsabilità dei doni ricevuti; deve essere seguito da una preparazione specifica relativa al proprio carisma o ramo di competenza. Per tale finalità sembra utile sviluppare queste capacità:

  • Acquisire la consapevolezza ministeriale. Occorre essere coscienti dell’incarico ricevuto dalla comunità e che, a nome della comunità, è svolto e sentirsi responsabili di esso. Tale incarico è un vero e proprio ministero anche se non istituito ufficialmente.
  • Condividere la missione della Chiesa e della propria comunità. Prendere coscienza della missione della Chiesa nel mondo, utilizzando la Sacra Scrittura e i documenti magisteriali. Scoprire, nell’ambito della missione della Chiesa qual è quella specifica della Chiesa locale o della comunità, analizzando i bisogni del territorio e le possibilità d’intervento.
  • Crescere nella propria vocazione ministeriale. Superando la spontaneità in cui oggi si trova la “proposta” ministeriale realizzare nella comunità una vera e periodica pastorale vocazionale in vista della globale ministerialità ecclesiale. Come Cristo, servo sofferente, ripensare la propria vocazione come appartenenza alla missione di una chiesa locale, come qualità della propria vita, come esercizio della speranza messianica (“venga il tuo regno!”). comprendere progressivamente quali sono gli sbocchi e quale preparazione occorre per crescere sempre di più, sia come competenza sia in senso spirituale.
  • Sviluppare la spiritualità di comunione. Gli operatori pastorali sono segno e strumento di comunione di spirito gli uni con gli altri, anche se i diversi carismi li portano a prodigarsi in campi diversi. Questo li porterà a pregare gli uni per gli altri e sentirsi corresponsabili anche nei campi diversi in cui lavoreranno i loro colleghi, ad esercitare il discernimento con senso di responsabilità. Non mancherà l’occasione di esercitare l’obbedienza e la silenziosa sofferenza per i limiti umani della vita ecclesiale.
  • Vivere l’etica della comunicazione. Dovrà essere presente in tutti la coscienza che l’amore e la fratellanza tra gli uomini si esplica attraverso la comunicazione. Di qui l’attenzione massima a che la comunicazione tra tutti sia frequente, sia chiara e non univoca, sia sincera e aliena da sentimenti di superiorità. Sia anche critica, purché la critica sia fatta con amore e misericordia. Per quanto riguardo coloro che sono chiamati ad essere responsabili di un gruppo di operatori pastorali debbono evitare di ridurli e semplici esecutori di disposizioni, ma incoraggiarli ad essere collaboratori nel discernimento comunitario dell’azione pastorale da intraprendere. Mai il ministero e la comunicazione interpersonale sarà a servizio del proprio successo.

3. Esperienze

Il luogo della formazione è l’esperienza stessa di far parte della Comunità che non può essere sostituita da nessuna “scuola”. La responsabilità ministeriale va però sostenuta da itinerari formativi adeguati. Inoltre sarà utile che gli aspiranti operatori si affianchino a operatori esperti per apprendere praticamente la modalità del dire e dell’agire (essere e saper fare). Questa scuola pratica dovrà essere contemporaneamente un cammino di fede, in quanto dovrà essere ben chiara la responsabilità che gli operatori hanno nei confronti della comunità intera. Sarà utile, e qualche volta necessario, aprirsi a momenti di formazione offerti dalla Diocesi. La partecipazione alla vita della Diocesi e alle sue offerte formative è, per ogni operatore pastorale, vera esperienza formativa.

4. Nuclei tematici

  • Dimensione umana e vocazionale della ministerialità. Una adeguata pastorale vocazionale parte della analisi dei bisogni di salvezza di cui la comunità e il territorio hanno necessità. Essa si inserisce nella vita dei gruppi come tema specifico. La vocazione ministeriale è fondata sulla caratteristiche della maturità umana e non può essere una forma di compensazione della propria esistenza. Sotto una ministerialità ci deve sempre essere una personalità matura. Occorre che ciascuno venga incoraggiato e aiutato a rivedere la propria vocazione per scoprire come è nata e sta come sta crescendo e su quali cose ci illudiamo. Questo per rendere più sicuro e formativo il proprio cammino vocazionale.
  • Servire in comunione e curare la qualità del servizio. Gestire un ministero, ordinato o no, non deve essere causa d’orgoglio. La dignità dell’operatore pastorale e quella di tutto il popolo di Dio è uguale e deriva dall’essere figli di Dio. Così pure, chi serve in un ministero deve essere in comunione con tutti gli altri operatori e non considerare il proprio ministero maggiore di un altro, perché il discernimento è frutto della sapienza di tutti. Spesso si diventa operatore pastorale perché chiamati dal parroco. Ma questo non dovrà significare che si è “operatori per il parroco” e magari solo finché egli fosse presente nella comunità.
  • Conoscenza della tradizione ecclesiale. La ministerialità appartiene alla Chiesa. Il modo di viverla e realizzarla deve essere conosciuto da chi si pone al suo servizio.La missione prepasquale dei dodici. Sulla base dei racconti evangelici scoprire la missione affidata da Gesù alla prima piccola comunità che ha chiamato attorno a sé.
    La missione del Popolo di Dio. Considerare che i dodici Apostoli rappresentano le dodici tribù di Israele e quindi la totalità del popolo eletto. Per estensione evidentemente il Popolo di Dio, che deriva da quella piccola comunità raccolta intorno a Gesù, è il nuovo Israele. Consultare i Documenti del Concilio Vaticano II e in genere quelli Magisteriali, per scoprire la missione a cui è chiamato il Popolo di Dio.
    Il cammino della missione nei secoli. Conoscenza del modo con cui è stato messo in atto il comando di Gesù il giorno dell’Ascensione “Andate e ammaestrate tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
    Il Concilio Vaticano II. Conoscere i Documenti del Concilio che rappresentano l’immagine di chiesa e di rinnovamento a cui tutti ispirarsi e capire ciò che ancora bisogna fare per metterlo in atto. A che punto è la tua comunità ?
    A servizio della Chiesa. Il cammino della Chiesa italiana descritta dai documenti della CEI e storia della Chiesa locale che più ci riguarda da vicino.
    La storia della propria comunità. In modo particolare la storia della realizzazione delle indicazioni conciliari nel proprio contesto. Quali passi sono stati fatti in passato? Come possiamo provvedere per continuare? Che cosa pensiamo di programmare per il futuro?
  • La responsabilità nel prendere parola in nome della Chiesa. Paolo VI diceva “Il mondo ha bisogno più di testimoni che di maestri”. In effetti il cristiano, ma più ancora l’operatore pastorale, non può parlare della propria fede in modo distaccato. Egli, invece, parla di qualcosa che gli fa battere il cuore, fa una testimonianza della propria fede. Per questo l’operatore pastorale si trova a camminare sulla lama di un rasoio. Leggere semplicemente ciò che è scritto sui documenti ufficiali non fa sentire il battito del suo cuore, che è quello che porta l’ascoltatore alla conversione. Ma dando in modo coinvolto, la propria testimonianza, rischia di non essere fedele ai documenti? Bisogna conoscere molto bene sia la Parola di Dio sia il pensiero ufficiale della Chiesa ed interiorizzare entrambi al punto che facciano parte del proprio modo di essere e di pensare.

5. Indicazioni per la comunicazione

La comunicazione si svolge lungo tre binari distinti.

Il primo riguarda la comunicazione dell’animatore/formatore nell’esercizio delle sue funzioni. Questa sarà piana, narrativa e amichevole, aperta ai dubbi e alle perplessità, ma rispettosa del ruolo. È l’animatore che conduce il cammino ed ha la responsabilità di esso, perché ne conosce la finalità. Il percorso, infatti, non può essere tenuto in modo democratico, in cui tutti mettono bocca sulla conduzione, ma asimmetrico.

Il secondo binario riguarda la comunicazione interpersonale dei partecipanti. Questa dovrà essere gentile, affettuosa, ma sincera. L’esplicito in comunità è un modo vincente di partecipazione, per cui la comunicazione dovrà essere sempre amichevole e benevola, anche se non bisogna rifuggire dalla chiarezza degli interventi e dei rapporti ed è finalizzata a sviluppare la capacità di collaborazione.

Il terzo binario è la comunicazione con sé stessi. Bisogna infatti apprendere a guardarsi dentro, a conoscersi e a non avere maschere con sé stesso.

 

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