Papa Francesco e la missione\1

Missione come dialogo con il mondo attuale.

Il secondo obiettivo da perseguire con la missione della NE riguarda il rapporto con la cultura. Papa Francesco ci dice che a tale proposito «è bene ricordare le parole del Concilio Vaticano II: le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo (cfr Cost. Gaudium et spes, 1). Dunque una missione a partire dalla prospettiva di Gaudium et Spes.

Questa prospettiva[4] che integrava e superava la impostazione ecclesiocentrica tipica del primo post-concilio e basata sul rapporto tra Ad Gentes e Lumen Gentium, accoglie molte riflessioni degli anni ’70 legate alla missione come annuncio e servizio allo shalom riprese e accolte dal Sinodo Straordinario del 1985.

Questa visione della missione a partire dalla condivisione della speranza di salvezza rappresenta, oltre che un approfondimento delle vie missionarie, quasi un approfondimento della «missione paradigmatica» che richiedeva nella introduzione del suo pensiero. Un orizzonte, dunque, prima che un compito. Egli la pone come contenuto della relazione Chiesa-mondo. Dice «Qui risiede il fondamento del dialogo col mondo attuale. La risposta alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio, comporta un cambiamento fecondo che bisogna percorrere con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa».

La prima parte dell’espressione indica il compito della inculturazione. Essa consiste nel dare risposte alle «domande esistenziali dell’uomo di oggi» ovvero i bisogni di salvezza della cultura. Non è quindi intesa solamente come studio della comunicazione adatta per spiegare meglio le verità della fede, ma ricerca teologica per dare risposta alle manifestazione dei bisogni salvifici di oggi.

La seconda parte esprime le criteriologie di questo compito missionario. L’inculturazione è il risultato del dialogo tra le vie di salvezza già sperimentate dalla cultura («prestando attenzione al loro linguaggio»[5]) e le fonti del messaggio cristiano. Questo è descritto nei termini di Vangelo, Magistero e Dottrina Sociale. La teologia dovrà scoprire nuovamente i legami della continuità della tradizione con la discontinuità che deriva dall’incontro con le situazioni di oggi. La innovazione o discontinuità non è richiesto dal bisogno di novità, ma dalla necessità di rendere «fecondo» l’annuncio. Questo impianto criteriologico della inculturazione è al tempo stesso cristologico ed ecclesiologico. Compito del discernimento ecclesiale, infatti, è rendere continuamente attuale l’esperienza missionaria del Cristo pre-pasquale (il Gesù storico) e in questo compito responsabilità primaria è di tutta la comunità cristiana che arricchisce continuamente l’interpretazione della fede (DV 8; LG 12).

La conseguenza di questo discernimento sarà quello che la missione chiama la lettura dei segni dei tempi. Gaudium et Spes ci ha dato due significati, interagenti, della espressione. Nella prima (GS 4) ci viene detto che la missione comprendere le caratteristiche socio-culturali del tempo e delle culture. Questa ricerca ha come scopo comprendere i bisogni salvifici di un gruppo o comunità umana. È per questo, dice Ad Gentes 6, che la missione è unica, ma anche plurale. Allo stesso modo afferma RM 33. Nella seconda (GS 11) ci viene detto che al risposta ai bisogni del tempo si trova sia nella tradizione sia nella cultura stessa; in quella parte della cultura che già si è aperta alla volontà di Dio.

Dio infatti, come dirà subito dopo e ripete spesso Papa Francesco, precede e ispira la missione. Nella cultura, dunque, troviamo espressioni della pratica messianica di Gesù che la chiesa va a riconoscere, accogliere e utilizzare. Talvolta ad integrare o purificare. Queste “espressioni” sono a volte persone, oppure idee o gruppi sociali con cui testimoniare insieme l’amore di Dio. Interpreto così alcune istanze molto recenti della teologia missionaria che spingono verso una apertura della missione alla condivisione del servizio al regno di Dio oltre che all’annuncio[6].

Il principio missionario della inculturazione è ripreso nel paragrafo seguente dedicato ad illustrare come la missione deve dare risposte alle singole situazioni; proprio perché in esse già sono presenti i segni dell’azione salvifica di Dio. Dice: «Gli scenari e aeropaghi sono i più svariati. Per esempio, in una stessa città, esistono vari immaginari collettivi che configurano “diverse città”. Se noi rimaniamo solamente nei parametri de “la cultura di sempre”, in fondo una cultura di base rurale, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso».

Le espressioni appaiono teologicamente forti. Si evoca l’affermazione del peccato contro lo Spirito e si esaltano, quindi, due linee missionarie oggi molto attuali. Da una parte si riprende la missione dello Spirito inteso come forza missionaria presente nel mondo insieme ma non coincidente alla missione del figlio. Il Cristo è la rivelazione che aiuta a comprendere l’energia divina che opera nelle diverse coscienze e culture. In questo modo la missione non si limita ad intendere lo Spirito come dono della missione del Cristo pasquale, ma è chiamata a sviluppare la dinamica pre-pasquale dell’amore di Dio nel e per il mondo. Una dinamica, quella della relazione tra la missione dello Spirito e del Figlio, sottolineata ma con qualche incertezza dal Vaticano II stesso. Se infatti in AG 3 lo Spirito precede l’azione missionaria di Cristo, in AG 4 Lo Spirito sembra dato per l’azione missionaria della chiesa.

La seconda linea missionaria che il testo evoca, è la riflessione che tende a superare l’espressione molto usata di «inculturazione» ed ad approdare alla teologia della contestualizzazione[7]. Il testo infatti dice che nel fare discernimento missionario c’è il pericolo di rimanere «nei parametri de “la cultura di sempre”». L’analisi del contesto, invece, permette alla missione di progettare se stessa come risposta ai bisogni salvifici di una specifica realtà e soprattutto come risposta alle diverse presenze di Dio nella storia[8]. Questo, in fondo, è quello che sosteneva la teologia della liberazione delle origini.

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