2. Percorso di auto-formazione per due soggetti
Chi si ritrovasse in questa breve descrizione del tema pastorale proposto, credo si scoprirà in una situazione di desiderio e incertezza. Di fronte a questo tema i parroci tra i 60 e 70 anni affermano di comprenderne l’importanza, ma di non averne la forza per realizzarlo; i parroci di seconda nomina (45-60 anni) avvertono interiormente la mancanza di competenza e si limitano a pratiche di catechesi per adulti in occasione dei sacramenti; i giovani parroci rischiano di comprendere il loro compito di animatori di comunità parrocchiali missionarie seguendo la figura leaderistica dei movimenti o della pastorale dei gruppi elettivi. Con il rischio di centrare su di sé l’attenzione degli adulti e non sulla parrocchia che un giorno lasceranno per altro servizio. Si deve quindi uscire dalla situazione di svalutazione di sé o di personale avventura pastorale. L’ideale sarebbe un percorso formativo diocesano adeguato che faccia riferimento a scelte di progettazione di parrocchia che non si limitino a chiedere loro di occuparsi della sola socializzazione religiosa con una qualche attenzione agli adulti. Ma questo non c’è. Lo stesso documento dedicato alla parrocchia missionaria [4], di cui andiamo a celebrare il decennale, è in realtà un documento che invita i parroci a “invitare” gli adulti a svolgere il loro (degli adulti) compito di educatori della fede (religione) dei figli. Non di più. Mancando nei documenti la prospettiva di una vera comunità missionaria, viene meno anche nelle parrocchie l’orizzonte e la prospettiva di una adeguata CA. L’ideale sarebbe un percorso diocesano e condiviso. In mancanza di questo sarà utile una via mediana che chiede ai singoli parroci o a gruppi di parroci di autogestirsi percorsi di auto-formazione. Intendiamo il termine in due prospettive. Nella prima proponiamo ai presbiteri di individuare i nuclei di aggiornamento e di assimilarli. Si vedrà che sono due gruppi: quelli legati alla comprensione dell’orizzonte entro cui collocare la CA e quello della acquisizione delle competenze pratiche. Ma intendiamo il percorso di auto-formazione anche o soprattutto in una seconda prospettiva. Nella prospettiva di costruire comunità di formatori. La prima fase è collegata alla seconda. Non è quindi una proposta per rendere ancora più isolati e indipendenti i preti dalle loro comunità. È una proposta per sostanziare il loro ruolo in modo da spenderlo in forma di corresponsabilità e condivisione con l’intera comunità. Quasi un recupero della formazione di base non ricevuta. Pensiamo infatti al parroco non come l’unico responsabile della formazione degli adulti, ma come l’animatore del compito formativo che appartiene all’intera comunità. Un compito condiviso che, tuttavia, nasce quando il parroco si sente capace di sostenerlo e guidarlo; quando il parroco avverte la capacità di essere il primo animatore di un cammino in evoluzione. Attraverso lo sforzo di auto-formazione egli sarà abilitato a formare i responsabili parrocchiali della CA. Sarà capace di formare e seguire, non solo acconsentire che altri lo facciano per sé. Le tappe previste in questo percorso sono quindi le stesse sia per il presbitero che per i formatori di adulti.
Tema attuale quanto mai. Bene rivolgersi ai parroci( preti in situazione pastorale reale) . Proposta analitica( fin troppo?) Se fosse possibile esaminare criticamente/positivamente modelli concreti, Cesare