«Il cristianesimo non è una questione di numeri perché non è una questione di egemonia. Bisogna proporre tutto a tutti e poi andare fino in fondo con chi risponde».
«Ci sono – ha rimarcato il Patriarca – due criteri da salvaguardare: il primo è il bene del ragazzo e il suo diritto a ricevere una iniziazione cristiana integrale. Il secondo è la libertà del ragazzo stesso, per cui non è pensabile alcun tipo di forzatura nei suoi confronti».
Ragion per cui l’obiettivo è una scelta libera, critica e consapevole di un percorso condotto dentro ad una comunità in cui il ragazzo percepisca, nello sguardo aperto su tutta la realtà, quanto sia bello che sia Cristo a contrassegnare ogni momento della vita.
Come si ottiene questo risultato? Le strade sono varie, ma il minimo comun denominatore permane quello: «Nell’età fra gli 11 e i 18 anni, se non si incontra una comunità libera, aperta, spalancata sul mondo, è difficile che si resti nella fede. Perciò sono necessarie forme aggregative». Queste, poi, possono avere più forme, dagli scout all’Azione cattolica, dai neocatecumenali ai gruppi interparrocchiali…: «L’importante è però trovare una realtà bella che in Cristo ti lancia nella vita».
La fragilità ricorrente, invece, è nel pensare che possa persistere un catechismo dal sapore parascolastico. La stessa suddivisione in gruppi di prima, seconda, terza superiore e così via non fa altro che echeggiare l’esperienza della scuola e del suo obbligo. Tutt’altro rispetto all’esperienza del gruppo e della comunità.
Della comunità educante, in particolare, in cui tanti, diversi stati di vita (sacerdoti, genitori, educatori, nonni…) concorrono, in forza della loro testimonianza di vita e di fede, a essere punti di riferimento per i più giovani”