Educazione e pastorale4. Obiettivi da realizzare nel decennio: la IC

Continuando la lettura degli Orientamenti Cei per gli anni 2010-2010 a partire dal capitolo 5 dedicato alle “indicazioni per la progettazione pastorale” (vedi su questo blog la precedente analisi della prima parte) analizziamo la prima delle tre suggestioni (nn. 54-56). La situazione educativa attuale, infatti, richiede “nuove scelte di progettazione”. Il documento si concentra su tre ambiti privilegiati.

a. L’iniziazione cristiana.

Il primo ambito da ristrutturare è la IC: “in questo decennio sarà opportuno discernere, valutare e promuovere una serie di criteri che dalle sperimentazioni in atto possano delineare il processo di rinnovamento della catechesi, soprattutto nell’ambito dell’iniziazione cristiana”.

A tale proposito il documento dà 2 affermazioni.

– La prima riguarda il confronto tra le “esperienze migliori” in ordine alla capacità “di promuovere la responsabilità primaria della comunità cristiana (1), le forme del primo annuncio (2), gli itinerari di preparazione al battesimo (3) e la conseguente mistagogia per i fanciulli, i ragazzi e i giovani (4), il coinvolgimento della famiglia (5), la centralità del giorno del Signore e dell’Eucaristia (6), l’attenzione alle persone disabili (7), la catechesi degli adulti quale impegno di formazione permanente (8; forse fuori luogo in quanto non si tratta di IC). La nota 88 cita qui per la prima e unica volta le 3 note che hanno segnato il rinnovamento pastorale del progetto precedente (anni 1997-2003). Si può affermare che queste siano le cose da verificare se siano presenti nei progetti formativi parrocchiali.

– La seconda riguarda il criterio stesso della verifica. Non basta infatti che in un progetto parrocchiale si tengano in giusto conto le dimensioni prima richiamate (potremmo dire rispetto di una “correttezza formale”), ma si tratta – più in profondità – di verificare se queste dimensioni sono presentate e realizzate nella prospettiva del primato della liturgia nella riorganizzazione in chiave missionaria della stessa IC. Si legge infatti che “l’iniziazione cristiana mette in luce la forza formatrice dei sacramenti per la vita cristiana, realizza l’unità e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità, e favorisce alleanze educative. La sacramentalità è quindi definita la vera e forse unica azione pedagogica della chiesa. Le altre sono solo mediazioni comunicative o pedagogiche. Sono espressioni che possono favorire la comprensione e l’adesione.

Non si tratta solo di verificare se viene reintrodotto lo stile catecumenale (con tutti quegli elementi che venivano elencati), quanto di verificare se il principio liturgico torna ad essere la chiave di lettura della presentazione della proposta cristiana.

Penso si possano fare almeno tre osservazioni (che non guardano il positivo che tutti riconosciamo al modello catecumenale: i tempi, i soggetti comunitari, la riqualificazione dei genitoriri, la pastorale integrata etc…)

– Il grave rischio sarà – è facile prevederlo – che nella receptio concreta la liturgia non solo sia il luogo e la via del percorso formativo, ma soprattutto che ne costituisca il fine e la finalità. In questo caso tutti gli altri elementi saranno interpretati come “appoggi” pedagogici per un ritorno o nuovo convincimento di coloro che si sono allontanati dalla pratica sacramentale. La IC tornerebbe ad essere “il ciò che viene proposto e che viene richiesto al credente”. Non sarebbe quasi favorire un ritorno alla pastorale di sacramentalizzazione specifica della cristianità perduta?

– Sarà molto difficile, inoltre, “convincere” chi si è allontanato da tale proposta sacramentale fino a decidere di non dare o rimandare i sacramenti per i propri figli, senza riflettere sulla questione centrale: quale risposta “adeguata” dare a chi ci chiede perchè chiedere alla chiesa la iniziazione cristiana? Anche in questo contesto appare chiaro che il problema non è solo quello di rinforzare il dispositivo e le forze pedagogiche in gioco, quanto piuttosto di “rispiegare” il senso della proposta stessa inserendolo in modo nuovo nella prospettiva culturale e di socializzazione in atto. Non si tratta di tornare, ma di esplorare nuovi sentieri.

– Infine mi auguro che questa impostazione non precluda l’analisi di possibili altre fonti e aiuti al discernimento. Si parla infatti delle sperimentazioni in atto, quelle che si riferiscono alla Guida del 2003 che mantiene la conclusione della ICR attorno ai 12 anni. Non si accenna ad altri modelli di progettazione che giocano invece il rinnovamento sulla possibilità di aiutare l’azione sacramentale prolungando la formazione e “aspettando” una età più avanzata (giovanile) che permetta una adesione personale e convinta alla proposta cristiana stessa.

Dunque un impegno per il riadeguamento strutturale degli elementi in gioco nella pastorale della IC, ma anche o soprattutto una chiarimento su: lo scopo/scopi della IC, il senso o la prospettiva culturale della IC come socializzazione religiosa cristiana e un maggiore dibattito sulla età adatta alla conclusione del percorso formativo.

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