Sono ormai quasi 50 anni che la Chiesa in Italia si è impegnata nella attuazione delle finalità di rinnovamento pastorale in chiave missionaria e di nuova evangelizzazione.
In una Prima Fase [1973-1985] si concentrò su un programma per Rievangelizzare l’Italia. Si scelse la via di collegare meglio evangelizzazione e sacramenti; di realizzare una immagine “comunitaria e ministeriale” della comunità; di introdurre il metodo del discernimento come chiave della pastorale.
In una Seconda Fase [1985-2000] tuttavia queste direzioni subirono una contestazione e un cambio di orizzonte. Si introdusse il termine missione. Questo significava che la evangelizzazione si doveva occupare della questione della verità. Nella pastorale si inserì “il progetto culturale” e una controversa rilettura apologetica dei catechismi.
In una Terza Fase [dopo il 1997] prese piede una prospettiva missionaria ispirata al Rica (1978). Essa si espresse nella riproposizione del modello catecumenale della Iniziazione Cristiana (= IC) [1997-2003] per superare la semplice pastorale di socializzazione religiosa; ma anche nella attenzione alla rievangelizzazione. Con Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001) si propose una pastorale missionaria cristocentrica a partire dal principio della speranza. Si pensava a una qualificazione della pastorale per la “comunità eucaristica”; attraverso una liturgia forte; una formazione sapiente e profetica in dialogo con la cultura; una attenzione ai giovani e alla famiglia. Senza eliminare la pastorale per coloro che vivono il battesimo con poca appartenenza attraverso un rinnovato annuncio che tenesse in conto i linguaggi positivi di oggi: soggettività, autonomia, democrazia, corporeità e fisicità, esperienzialità; avendo come parole chiave orientamento, progettualità, formazione, energia, integrazione.
Questa impostazione superava la pastorale veritativa o pastorale “muscolosa” della opposizione fede e cultura e tornava a preoccuparsi di significare la fede dentro la vita. Attraverso gli “ambiti di Verona” (2006) si propone una evangelizzazione come speranza che proviene dalla risurrezione e che rilegge la comunicazione della fede. La NE illumina la vita quotidiana; è “alfabeto” per comunicare il Vangelo negli ambiti di vita: Vita affettiva, Lavoro e festa, Fragilità umana. Tradizione, Cittadinanza. Per questo si chiede una pastorale integrata, che sappia sviluppare primo annuncio e catecumenato.
La Quarta Fase [2010] arricchisce questa direzione con la prospettiva che unisce “evangelizzazione ed educazione”. Con essa torniamo alla questione che ha dato origine a tutto il cammino. L’evangelizzazione va compresa dentro il rapporto tra messaggio e persona. Non è solo questione di annuncio o di sola persuasione. È scrivere il Vangelo dentro il cuore delle comunità. Non è antico testamento, ma nuova alleanza.
Si può tentare di fare una valutazione “missionaria” di questo cammino? Una valutazione dello spessore missionario si deve porre queste domande:
• Quale compito viene affidata alla missione?
• Quale lettura e valore ha la storia e la cultura?
• Quale novità dell’annuncio si ritiene importante suggerire?
• Quale dispositivo per la missione? Dove si apprende la fede? Quali caratteristiche della ministerialità «missionaria»?
l’analisi di questi temi porta a formulare l’ipotesi che nonostante il grande sforzo messo in campo la chiesa italiana andrà verso una pastorale di minoranza agguerrita, autoisolata, in opposizione con la società e la cultura. Verso la riproposta di una esperienza religiosa separata dalla vita e dalla storia. e quindi incapace di incidere nella «mediazione culturale» della storia.
E’ stato questo l’obiettivo di una recente conferenza svolta ai missionari italiani in Santiago del Cile