Che significato ha avuto commemorare con i luterani in Svezia i cinquecento anni della Riforma? È stata una sua “fuga in avanti”?
L’incontro con la Chiesa luterana a Lund è stato un passo in più nel cammino ecumenico che è iniziato cinquant’anni fa e in un dialogo teologico luterano-cattolico che ha dato i suoi frutti con la Dichiarazione comune, firmata nel 1999, sulla dottrina della Giustificazione, cioè su come Cristo ci rende giusti salvandoci con la sua Grazia necessaria, cioè il punto da cui erano partite le riflesprio di Lutero. Quindi, ritornare all’essenziale della fede per riscoprire la natura di ciò che unisce. Prima di me Benedetto XVI era andato a Erfurt, e su questo aveva parlato accuratamente, con molta chiarezza. Aveva ripetuto che la domanda su «come posso avere un Dio misericordioso » era penetrata nel cuore di Lutero, e stava dietro ogni sua ricerca teologica e interiore. C’è stata una purificazione della memoria. Lutero voleva fare una riforma che doveva essere come una medicina. Poi le cose si sono cristallizzate, si sono mescolati gli interessi politici del tempo, e si è finiti nel cuius regio eius religio, per cui si doveva seguire la confessione religiosa di chi aveva il potere.
Ma c’è chi pensa che in questi incontri ecumenici lei voglia “svendere” la dottrina cattolica. Qualcuno ha detto che si vuole “protestantizzare” la Chiesa… Non mi toglie il sonno. Io proseguo sulla strada di chi mi ha preceduto, seguo il Concilio.
Quanto alle opinioni, bisogna sempre distinguere lo spirito col quale vengono dette. Quando non c’è un cattivo spirito, aiutano anche a camminare. Altre volte si vede subito che le critiche prendono qua e là per giustificare una posizione già assunta, non sono oneste, sono fatte con spirito cattivo per fomentare divisione. Si vede subito che certi rigorismi nascono da una mancanza, dal voler nascondere dentro un’armatura la propria triste insoddisfazione. Se guardi il film Il pranzo di Babette c’è questo comportamento rigido.