Più volte ci siamo posti il problema se la crisi della pastorale non fosse solo di natura comunicativa ma anche più profonda. Facendo una analisi di qualità della situazione la crisi si può identificare nel prodotto offerto (non) più adatto alle esigenze dei destinatari; oppure al marketing per cui il prodotto non appare per il valore intrinseco che possiede; oppure è una crisi di produzione per cui il prodotto originario viene realizzato secondo specifiche che lo snaturalizzato; oppure di costi di produzione per cui il prodotto, pur ripetuto valido, non può essere acquistato. Sicuramente la crisi attuale è trasversale e riguarda ciascuno di questi elementi
Si tratta di capire l’attuale valore del dispositivo formativo della comunità. La teologia missionaria ci afferma che quando una persona “mossa dallo Spirito” si sente attratta alla vita cristiana allora la comunità è abilitata a generare figli cioè discepoli in un preciso contesto per una precisa missione. Da questo punto di vista una analisi adeguata si deve interrogare proprio su questo aspetto: perché la mozione dello Spirito non produce cristiani e comunità adulte nella vita cristiana? Perché il processo di produzione (la formazione) nella comunità si è bloccato? Dove si pone il blocco?
Ritengo utile fare due riflessioni fondamentali.
La prima riflessione riguarda il rapporto religione e cultura nel nostro contesto. Come già affermato esso è inevitabile. Le Religioni affermano che il loro sapere deriva da una rivelazione per cui è la cultura che deve adattarsi e riferirsi ad esse. Le Scienze Umane (=SU) mettono in evidenza un altro aspetto. Le rivelazioni religiose rispondono in parte ai bisogni culturali dei diversi tempi. I principi fondativi possono avere anche una origine “trascendente” ma il loro rapporto con i gruppi sociali è storicizzato o adattato ai bisogni fondamentali dei una cultura. Se utilizziamo un concetto dinamico di Rivelazione questa affermazione non ci fa paura. Se non confondiamo l’azione rivelatrice dello Spirito di Dio con le interpretazioni progressive della verità che l’umanità e la chiesa riesce a fare, allora comprendiamo che le crisi culturali non sono ostacolo alla missione, ma il suo normale cammino. Alla luce dei principi fondativi narrati dentro le narrazioni raccolte nella Bibbia, la comunità cristiana può trarre con profitto cose nuove e cose antiche (Mt 13,52). Gesù stesso definisce la sua missione come ermeneutica della antica Legge (Mt 5,17).
Questa premessa mi porta a porre l’ipotesi se la crisi formativa della comunità non sia innanzitutto crisi della narrazione privilegiata nella modernità per veicolare l’interpretazione fondamentale della rivelazione. Essa è stata quella redentiva. Soprattutto dopo il concilio di Trento il mito fondatore (la esperienza fontale di Gesù di Nazaret) è stato veicolato con la narrazione che definiva come significato principale quello della risposta al bisogno antropologico di sentirsi perdonati dalla divinità.
Questa verità religiosa è collegata a diverse dimensioni umane che le SU hanno progressivamente sottolineato e scoperto. I gruppi sociali e le persone, cioè, univano a questo annuncio fondamentale dell’amore di Dio la speranza che anche le altre forme del potere si comportassero in modo analogo. Nel momento in cui i medesimi gruppi sociali (in Europa) hanno emancipato la società dalle forme di arbitrio politico, lo schema interpretativo della religione ha perso il suo valore sociale; è stato marginalizzato dalla cultura e lasciato alla libera scelta personale. Questo non significa che non è vero, ma che non serve più ad alcuni aspetti della cultura.
Il cristianesimo sarebbe all’esaurimento del suo ruolo sociale solo se possedesse questa sola interpretazione (narrazione) del suo racconto fontale. Ma non è così. Gli studiosi ci offrono la ricchezza delle interpretazioni e proposte del NT.
Dal punto di vista pedagogico questo significherebbe che, se questa ricostruzione ha una qualche validità, è allora comprensibile che anche le mediazioni pedagogiche (rito, dottrina, simboli, totem, calendario) soffrono della stessa crisi culturale. Esse sono improduttive perché “dissociate” dalla struttura culturale. Il ripotenziamento pedagogico del cristianesimo sarebbe allora collegato con la decisione pastorale di rivedere i grandi racconti o di renderle plurali. Non tanto nel rafforzamento affettivo del dispositivo precedente, ma nel suo ampliamento. Oltre che questione di relazione generativa si tratterebbe di verificare se gli adulti nella fede appaiono “significativi” per il bisogno religioso e culturale della NG.
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