Cosa abbiamo detto a Natale?

Sarebbe una ricerca interessante verificare cosa nella chiesa italiana si sia detto per aiutare ad entrare nel Mistero del Natale. Ovviamente non è possibile.

Un qualche aiuto viene da Avvenire che, come dopo ogni grande festività, riporta anche se in modo sommario, le omelie di alcuni vescovi italiani. Utilizziamo liberamente queste presentazioni per continuare la riflessione sulla necessità di comprendere quali racconti stiamo utilizzando nel tentativo di ridire e ridirsi la fede.

1. Ci sono vescovi che invitano a recuperare il senso del Natale perchè includa nei festeggiamenti il…Festeggiato! La sua mancanza manifesta il crescente ateismo (nel senso di perdita di riferimento) della nostra società occidentale.

2. La maggior parte degli interventi si concentra sulla conseguenza solidale del Natale: la nascita di Gesù si invita alla vicinanza con gli ultimi e i sofferenti. Qualche vescovo include nella riflessione le situazioni storiche e i fenomeni sociali più ampi (Cristo ci porta la pace come fine di ogni oppressione). Solo qualcuno si interroga sulle mediazioni politiche di questo invito (illegalità e ingiustizia sociale). Ma la quasi totalità non si preoccupa dei collegamenti interni al racconto del Natale-solidarietà. Quale racconto “di fede”, teologico, può sostenere questo invito perchè non sia percepito come occasionale, emotivo, individuale e moralistico? Qualcuno accenna alla conseguenza della nascita povera e della rivelazione di Dio nella povertà e piccolezza.

3. Solo un paio di vescovi organizzano la loro riflessione modulando il Natale come “nascita del significato” che rende piena la vita. Si usa il linguaggio della luce, del senso, della prospettiva della vita buona, dei valori autentici della vita, speranza affidabile, dono di occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, sul mondo. E’ la linea del Natale-illuminazione che in questo anno si declina anche con le espressioni educazione e vita buona. Anche questa prospettiva soffre di un racconto poco convincente. Quale sarebbe la memoria che possa illuminare la vita quotidiana? Come collegare la narrazione dei Vangeli con il senso della Pasqua e della morte di Gesù? E come illuminare la vita con la formulazione ellenica del Credo? Non è questione di non riconoscere le verità fondamentali della fede ma di poterle narrare in rapporto alla quotidianità. Perchè non rimangano vuote.

4. Poche riflessioni rimangono con coerenza nella lettura pasquale del Natale. Con la nascita di Gesù giunge a noi la misericordia di Dio e il dono della redenzione che ci permette di rinascere a vita nuova. Spesso queste riflessioni non contengono, nel loro racconto, riferimenti alla realtà quotidiana.

In conclusione le sensazioni sono diverse. Non è praticamente presente l’annuncio “dogmatico” del Natale. Il problema non è l’incarnazione e il rapporto tra le persone della Trinità. Ma prevale l’interpretazione “storico-salvifica” del Mistero. Il senso per noi è al centro delle preoccupazioni dei vescovi. Si percepisce il desiderio di annunciare il senso di un evento ritenuto e sperimentato (in alcune riflessioni questo si avverte forte) come decisivo per tutti e non solo per i credenti. Ma questo bisogno di significato (meglio che “di senso”) si limita troppo alla sfera individuale? Sembra capace di generare solo impegni personali o testimoniali?

E soprattutto questo “annuncio” (è un vero Primo Annuncio) da quale racconto complessivo può essere sostenuto? Quale è la radice, la motivazione di fondo, per cui tale annuncio può essere “ragionevole” e non solo razionale ?

Per i riferimenti vedi su http://www.avvenire.it/

Aa.Vv., Nella Notte Santa una speranza per l’Italia, in Avvenire, 2010, 28 dicembre
Pittaluga P., Natale, la bellezza di accogliere Gesù, in Avvenire, 2010, 28 dicembre
Pittaluga P., I vescovi: «Natale, seme di futuro per l’umanità», in Avvenire, 2010, 29 dicembre.

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