Dialogo inter-religioso e Nuova Evangelizzazione

benedetto_xviQuestione di apertura al mistero. L’atteso Discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana il 21 dicembre 2012.

Come ormai ci ha abituato, anche questo anno Benedetto XVI ha fatto un impegnativo discorso in occasione degli auguri alla Curia romana. Sono discorsi dedicati a fare il consuntivo delle attività più significative dell’anno trascorso (prima parte) ma soprattutto ad approfondire alcuni aspetti importanti della vita della chiesa e del futuro del cristianesimo. Tutti ricordano, ad esempio, l’importante discorso del 2005 dedicato alla ermeneutica del concilio vaticano II.

Nel discorso di questa fine del 2012 si ricava l’impressione che il papa voglia invitare la chiesa a farsi carico della questione della nuova antropologia che si sta progressivamente definendo soprattutto nel mondo occidentale. Egli applica la sua riflessione sulla questione delle forme sociali del “matrimonio”. È una “rivoluzione antropologica” che comporta notevoli errori e porta alla disumanizzazione. È in discussione la “questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto”.

Da questo discorso ricavo tre sottolineature che a mio avviso sono importanti: memoria, verità, ricerca.

Dialogo e cultura: il compito della memoria.

In vista della difesa dell’humanum come compito epocale della chiesa (e delle religioni) il papa ritiene importante soffermarsi sulla questione del dialogo e dell’annuncio. Riferendosi in modo evidente alla questione già definita in Dialogo e Annuncio, egli afferma la necessità di “tre campi di dialogo nei quali essa[la chiesa] deve essere presente, nella lotta per l’uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede”.

È una questione di Evangelizzazione perché “in tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede”. È una evangelizzazione della memoria. La evangelizzazione “incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni”. E più avanti afferma “La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure”.

Ci sembra di poter dire che Benedetto riprenda qui un tema molto caro a diversi autori che hanno fatto della “momoria passionis” la chiave per comprendere quale possa essere la strategia adatta al futuro del cristianesimo. La chiesa – essi affermano – si faccia carico nel suo programma mondiale.

Scrive a questo proposito J. B. Metz “cosa può significare oggi la pretesa universalista del cristianesimo? la risposta della tolleranza nel pluralismo religioso non è sufficiente… occorre una risposta dura che recuperi la tradizione biblica … il cuore del monoteismo biblico è la sensibilità di Dio al dolore, e la memoria passionis è innanzitutto discorso su Dio sensibile al dolore altrui. Questo monotesimo può incontrare le grandi tradizioni religiose …Il primo sguardo di Gesù non è rivolto al peccato, ma alla sofferenza presente nel mondo, al dolore degli altri. per questo egli parlava “dell’indivisibile unità dell’amore di Dio e del prossimo: passione di Dio come compassione” (Proposta di programma universale del cristianesimo nell’età della globalizzazione, in Gibellini R. (ed.), Prospettive Teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 2003, 389-402, qui 389-304 passim).

Dialogo con le religioni nella e per la verità.

Novità mi sembra di trovare anche nella riflessione che riguarda il dialogo e le religioni. Innanzitutto il papa riprende un concetto a lui molto caro. Crede che il dialogo interreligioso debba essere inteso piuttosto come dialogo interculturale con le religioni. Non quindi una riflessione sulle religioni, ma sul compito comune che esse hanno nei confronti delle società. Anche qui afferma: “in esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. … Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa la verità e circa l’essere umano; un dialogo circa le valutazioni che sono presupposte al tutto” .

Ma immediatamente dopo annuncia qualcosa che può aiutare la comprensione del suo pensiero. L’impossibilità di un dialogo teologico, infatti, potrebbe lasciare il sospetto che nelle religioni “altre” non si manifesti in qualche modo la sapienza di Dio. Il Vaticano II ci aveva abituati a considerare le religioni come vie misteriose di salvezza perché o quando esse siano ordinate al mistero pasquale (AG 4). Affermazione – questa – che andava oltre la tradizione dottrina dei semina verbi.

Ora il papa continua dicendo: “Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità”.

Se non equivoco il pensiero del papa, troviamo qui una affermazione nella direzione della ulteriore verità che i credenti e la chiesa sono chiamati a comprendere. Anche in ordine a questa “ulteriorità” siamo invitati dal Vaticano II che in Dei Verbum 8.10 ci invita non solo a comprendere la verità acquisita (il sacro deposito), ma ad essere disponibili ad una sempre maggiore progressione della comprensione della rivelazione stessa.

Ma qui il papa si riferisce a rivelazioni “altre”. A quell’allargamento della tenda di Sion di cui parlava il profeta. Il papa sembra venire incontro alle diverse perplessità. Egli aggiunge: “rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano”. Dunque una identità in continua ricerca? Il papa fonda questa sua riflessione in una affermazione che guida molta interpretazione post-conciliare: “Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi”.

Evangelizzazione e NE: compiti fondamentali.

Una terza riflessione mi è suggerita dalla chiusura del discorso. Il papa afferma: “trovo che gli elementi essenziali del processo di evangelizzazione appaiano in modo molto eloquente nel racconto di san Giovanni sulla chiamata di due discepoli del Battista, che diventano discepoli di Cristo (cfr Gv 1,35-39)”.

(1) “C’è anzitutto il semplice atto dell’annuncio…Il primo e fondamentale elemento è il semplice annuncio, il kerigma, che attinge la sua forza dalla convinzione interiore dell’annunciatore”. Segue (2) “l’ascolto, l’andare dietro i passi di Gesù, un seguire che non è ancora sequela, ma piuttosto una santa curiosità, un movimento di ricerca”. Infine (3) “Il terzo atto poi prende avvio per il fatto che Gesù si volge indietro, si volge verso di essi e domanda loro: “Che cosa cercate?” … La risposta di Gesù: “Venite e vedrete!” è un invito ad accompagnarlo e, camminando con Lui, a diventare vedenti”.

Una metodologia, quindi, che si condensa in tre passaggi. Annuncio, ascolto, esperienza della comunità e della comunione che oggi si realizza nella comunità cristiana. Sarà necessario tornare su questi tre momenti di un processo di evangelizzazione.

Come fa anche il papa, mi soffermo sul secondo punto (la ricerca) perché egli afferma: “La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino”. Il papa sembra riaprire una questione che, nel tempo della pastorale muscolosa di annuncio come” questione veritativa” degli anni ’90, ritorna invece necessaria. È la questione della libertà della persona nei confronti dell’annuncio. Mi sembra di poter affermare che il papa torni ad indicare la via della pre-evangelizzazione già studiata dalla missione (cf. J. Hofinger e A. Nebreda). Ovviamente in termini contemporanei. Oggi dovremo parlare del ruolo della qualità della testimonianza e della significatività culturale del messaggio o racconto della fede stesso, come mi sono permesso di indicare in Compiti e Pratiche di Nuova Evangelizzazione, in Dotolo C.-Meddi L., Evangelizzare la vita cristiana. Teologia e Pratiche di Nuova Evangelizzazione , Cittadella, Assisi 2012, 79-150, c. III.

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Si può leggere l’intero testo in
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2012/december/documents/hf_ben-xvi_spe_20121221_auguri-curia_it.html

 

 

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