ORATORIO E TERRITORIO: ragioni per una loro interazione

Incontro con don Luciano Meddi – 17.06.1998 –

 

 

Da qualche tempo un piccolo gruppo di persone all'interno del COR si sta' preoccupando di chiarirsi le idee circa il rapporto tra  “Oratorio” e “Territorio” . L'Oratorio, nelle indicazioni del progetto educativo, è definito come cardine, ponte tra la comunità parrocchiale ed il Territorio - dove per Territorio intendiamo il contesto umano, nel senso più pieno del termine - dove la parrocchia è inserita. Questo ponte, però, è spesso un arcobaleno, un desiderio che non si riesce mai a concretizzare. In questo incontro vogliamo riflettere, accompagnati da don Lucianio Meddi sulle motivazioni,  su cosa dovrebbe spingerci ad essere questa struttura, questo ponte, questo collegamento con il Territorio ed in particolare quale sia la rotta da seguire.

 

Introduzione

Cercherò di riflettere dal punto di vista più fondativo che descrittivo – operativo nel rispondere alla domanda: perché Oratorio e Territorio è bene che interagiscano al di là di una intuizione che tutti abbiamo?

È perché i ragazzini non vengono più? Perché la televisione ce li toglie? Perché le sale giochi… A pare queste motivazioni, che sono vere ma episodiche, casuali, operative, forse di riconquista, ci sono delle motivazioni più profonde, strutturali, non solo occasionali. Strutturali cioè necessarie, non bisogna cercare il rapporto tra Oratorio e Territorio quando l'Oratorio non funziona, ma anche quando funziona.

L'assioma fondamentale è: il rapporto Oratorio - Territorio non è occasionale ma strutturale e, quindi, dietro c'è tutto un discorso di nuovo rapporto chiesa – mondo. Se prima ci pensavamo autonomi ed era il mondo ad entrare dentro la chiesa e dentro l'Oratorio, oppure peggio per lui, adesso ci rendiamo conto che il rapporto chiesa – mondo è un po' paritetico. Dentro questa faccenda quindi, non solo l'opportunità ma la necessità di questo rapporto, richiesto perché voluto, necessario. Si deve fare per motivi teologici non per motivi occasionali altrimenti l'Oratorio è vuoto. Ma si deve fare anche per un altro gruppo di motivazioni che è di ordine pedagogico.

In quanto siamo credenti è necessario stabilire un rapporto con il Territorio e non solo per il Territorio ed in quanto siamo educatori dobbiamo stabilite un rapporto con il Territorio e non solo per il Territorio.

Articolerò il discorso sulle motivazioni intorno a questi due pilastri.

1.       Le motivazioni teologiche

1.1. Evangelizzare significa creare spezzoni di salvezza

Normalmente quando noi pensiamo all'Oratorio lo pensiamo nell'area della formazione cristiana, quindi nell'area dell'evangelizzazione: l'Oratorio come luogo dove i ragazzi possono essere aiutati ad incontrare la comunità, la chiesa, Cristo, il Vangelo ecc. Questo ovviamente con tante mediazioni. Pur non essendo luogo catechistico in senso stretto, l’oratorio è un luogo della comunità cristiana. Questo è incontrovertibile: fuori c'è scritto ‘Oratorio San Filippo, Oratorio San Gelasio.....’, il committente è una comunità cristiana e il compito di una comunità cristiana è sempre l'evangelizzazione, è sempre la missione evangelizzante. Allora la riflessione sta proprio qui, nei grossi equivoci su questo termine. Il termine evangelizzazione non può significare semplicemente l'azione ecclesiale per spiegare chi è Gesù Cristo con lo scopo di far conoscere Gesù Cristo, credere ed entrare nella Chiesa. La missione non può essere una scuola punto e basta. Nel concetto di evangelizzazione, di buona novella, come primo nucleo non c'è la conoscenza di Gesù Cristo, ma c'è l'incontro salvifico con Gesù Cristo: lo zoppo che è guarito, il povero che è liberato,  il malato che è sostenuto, il lebbroso che è reinserito, il peccatore che è perdonato, sono queste le tipologie interventistiche di Cristo. La radice dell'evangelizzazione è in realtà la promozione umana, è l'azione di salvezza verso una determinata realtà, sia essa personale, sociale, globale. Quando parliamo di evangelizzazione, quindi, ricordiamoci sempre che stiamo parlando dell'azione che Cristo, la comunità di Cristo, fa per costruire spezzoni di salvezza in quella realtà. Non spezzoni di conoscenza, non spezzoni di informazione, si tratta piuttosto di costruire qualcosa di salvo in quella realtà. Dunque l'evangelizzazione fa legame con salvezza e salvezza è un concetto globale. In questi anni, trent'anni, quarant'anni, salvezza la si è chiamata con il concetto di liberazione, con il concetto di sviluppo, con il concetto di emancipazione, di autenticità e via via. Il contenuto di questa salvezza è la realtà soggettiva ed oggettiva dei ragazzi, è la vita che è fuori dall'Oratorio. La salvezza di questo ragazzo che t'arriva è quello che lui vive. Se non entri in contatto con questa realtà, tu semplicemente separi il ragazzo dal suo contesto, che lo salva, o che non lo salva, e gli offri un'isola felice, se gliela offri, per poi tornare in una situazione che forse è di salvezza o che forse non lo è. È inevitabile che per evangelizzare si vada incontro al Territorio stesso, perché il contenuto dell'evangelizzazione è la storia, cioè il Territorio. In altri termini io evangelizzo quando aiuto una persona, la società, il contesto a costruirsi.

Se io aiuto la persona a costruirsi devo verificare, cambiare, modificare quello che è la sua vita cioè il suo Territorio: la famiglia, la scuola, il contesto sociale, la casa, il lavoro. Ma allora evangelizzazione è solo promozione umana? È solo attività sociale? È solo attività sindacale? No, evangelizzazione è creare salvezza,e se ti chiedono perché, tu dirai perché Cristo è nato a Betlemme, si è fatto povero con i poveri, ha guarito gli zoppi, ha chiesto un cambio della società, è stato ucciso, è risorto; io mi scopro dentro questa vocazione, ho chiesto il battesimo, mi sono inserito in questa comunità e in questa comunità sono collaboratore del Vangelo. L'evangelizzazione non ha per contenuto la spiegazione del Vangelo, ha per contenuto l'annuncio di salvezza nelle diverse forme. La realizzazione di salvezza e la catechesi sono strettamente collegate, se le dividiamo facciamo una separazione che diventa del tutto inutile e non costruiamo più l'autenticità della Chiesa. Questo è il punto teologico fondamentale.

1.2. La mediazione educativa

Il modo concreto che l'Oratorio ha di realizzare questo servizio è il modo educativo, il compito educativo. La modalità educativa diventa la mediazione operativa e, in modo concreto, la strumentazione per far sì che il sogno della Chiesa che è il regno di Dio, la giustizia, la solidarietà, la pace, lo sviluppo e la vita piena, si realizzi in un contesto. Lo strumento educativo è una mediazione tra una speranza e la realtà che oggi noi chiamiamo Territorio. Allora noi siamo una mediazione. La specificità dell'Oratorio sta nella mediazione educativa tra una grande speranza ed una realtà che devono entrare in contatto. Non possiamo tirarci fuori, annunciare una speranza e poi dirgli: “veditela un po' te”, perché altrimenti non siamo più una mediazione educativa, perché non stiamo più costruendo quella realtà nuova, quella pienezza di vita che è il regno di Dio, che è il contenuto delle nostre speranze. Il fattore educativo esige il collegamento tra il Territorio e la nostra speranza che è il regno di Dio, l'annuncio di salvezza che Dio ci porta.

1.3. La presenza di Dio nel Territorio. (Riflessione Biblica)

In questi ultimi anni abbiamo riflettuto sul fatto che il Territorio non è necessariamente cattivo. Noi Chiesa abbiamo l'idea che il Territorio è cattivo e meno male che c'è la Chiesa che lo salva con il battesimo, i sacramenti, il controllo e con l'Oratorio. E se pensassimo un momento in modo diverso? Prima che arrivi la Chiesa, prima che arrivi l'Oratorio quel Territorio è abitato da Dio? Cioè, il fatto che non esiste l'Oratorio vuol dire che Dio non c'è? Dio con la sua potenza di salvezza, con la sua energia vitale abitata quel Territorio. Non è che Dio o lo Spirito Santo ci sono solo dopo che arriva il vescovo, il parroco, il catechista o l'animatore oratoriano. La storia della salvezza precede e accompagna la chiesa, precede e accompagna il servizio educativo dell'Oratorio. Questo significa che molto probabilmente quel furbo del Padre Eterno ha già chiamato qualcuno nel Territorio; quel furbo dello Spirito Santo ha già messo nel cuore di alcune persone la voglia di fare alcune cose, alcuni frammenti, alcuni segmenti di salvezza. Ed allora io cosa faccio? Faccio come abbiamo fatto in America latina: distruggo tutto perché poi arrivo io? Eh no! Io andrò a portare il mio annuncio di salvezza, la mia offerta di salvezza tenendo presente che Dio ha già lavorato quel Territorio. Concretamente, ci sono strutture, istituzioni, persone che stanno facendo la stessa cosa, stanno costruendo la salvezza dal loro punto di vista per i medesimi destinatari. Quindi missione non può non essere andare a dire e chiedersi dove sta Dio o chi lo sta rappresentando qui. E allora si scopre quella maestra che è un agente di salvezza enorme, quel preside che c'è la mette tutta in quella scuola, quell’assistente sociale che non sta a guardare l'orologio, quel barista che tiene sott’occhio i ragazzi, quell'obiettore… E tu chiesa, e tu Oratorio non puoi non renderti conto che sei solo mediazione di processi di salvezza o di non salvezza che realisticamente già ci stanno. Per cui il rapporto con quelle persone o lo fai, lo cerchi oppure rischi di andare a strappare quello che Dio ha  seminato soltanto perché non ha la targhetta “Chiesa Cattolica”.

 

Casella di testo: 1.	Non posso più continuare a pensare che evangelizzare significa inculturare nel mio sistema vitale - fare catechesi - o spiegare il mio sistema culturale - ti spiego  cos'è la chiesa, l'altare… . Evangelizzazione significa piuttosto, dar da mangiare all'affamato, dar da bere all'assetato; se ti domandano perché, perché Gesù Cristo l'hanno ammazzato per questo. E se quello insiste? Vieni anche tu. Questo è un processo catechistico di persona seria. Altrimenti diventa: vieni anche tu a far che? A far parte della Chiesa altrimenti non ti salvi! Vai all'inferno! Cose assurde, queste qui! Queste sono tutte cose assurde.
2. 	La mediazione specifica dell'Oratorio è la mediazione educativa, e l'educativo ha bisogno della globalità del vissuto.
3. 	L'evento della salvezza appartiene a Dio e al suo Spirito. La Chiesa ne è servitrice, ne è il ministro, l'Oratorio ne è strumento di mediazione. Ma Dio si diverte a suscitare suoi rappresentanti e vie di salvezza dovunque. Per cui tu devi andare a cercare, ti devi mettere in contatto con esse.
In Sintesi

 

 

2.  Le motivazioni pedagogiche

Cari amici vorrei dirvi due cose sulla necessità, motivazione, del rapporto stretto tra Oratorio e Territorio dal punto di vista pedagogico.

2.1. Integrazione fede - vita

La prima riguarda la formazione cristiana: la formazione cristiana presuppone pedagogicamente la formazione umana. Non possiamo continuare a pensare che la formazione cristiana riguarda un pezzetto della persona, l'anima, la dimensione religiosa, che metto dentro ed essa agisce autonomamente. Chi dice sì a Cristo è una persona. Se uno non è persona non dice sì a Cristo. O se lo dice non sa a che cosa lo dice. Questa è la realtà. A partire da questo principio che andrebbe molto più studiato e approfondito, le conseguenze sono che se ho come scopo quello di aiutare la crescita cristiana dei ragazzi, dei fanciulli, degli adolescenti, (quindi ragazzi in fase evolutiva) questo lo realizzo se prendo sul serio il loro sviluppo in quanto persone, se me ne faccio carico. Ma attenzione! Farsi carico dello sviluppo delle persone in quanto persone, dei ragazzi in quanto persone, non può essere equivocato con: “gli offro uno spazio di buona socializzazione, dove non si dicono le bugie, non si dicono le parolacce, non ci si offende e si rispettano le regole del gioco”. I luoghi dove la persona diventa tale è la globalità dell'esperienza umana. Sono tutti i livelli che  fanno dell'individuo una persona.

Accenno alcune strutture della persona: il modo di capire, di vedere, di interagire con la realtà, la capacità di progetto di vita, l'identità dell'io, la soluzione dei bisogni evolutivi, ecc. Questi livelli, che sono i contenuti della formazione umana, solo minimamente si giocano nell’Oratorio ma, piuttosto, si giocano in una pluralità di luoghi. Ed allora non vado col setaccio a dire prendiamoci i più bravini, i migliori, quelli che già la famiglia ha messo in ordine, ai quali parli di Gesù e tutte le altre cose stanno a posto. Se ho a cuore la formazione cristiana devo andare ad interagire coi luoghi dove le persone si formano. Ma questa realtà è complessa e ci sono diverse cose da tenere presenti. Pensate al tempo che il ragazzo passa a scuola o in famiglia e sono queste le strutture formative. Il rapporto tra oratorio e Territorio è richiesto proprio dalla natura educativa del mio intervento che precede e accompagna l'offerta di una educazione ecclesiale, di una vocazione cristiana.

2.2. L’unità pedagogica centrata su i  destinatari

La seconda cosa da dire sulle motivazioni del rapporto Oratorio – Territorio dal punto di vista pedagogico è questa: ci si rende sempre più conto che il soggetto educativo è il Territorio stesso, cioè l'insieme dei soggetti educativi. Il processo formativo, come accennavo un attimo fa, è un atto complesso, pensate a quante agenzie, a quanti soggetti, a quante istituzioni, a quanti processi formativi si mettono in campo. L'individuo qua dentro rimane un po’ perso. Da questo punto di vista in una società complessa come la nostra, formare, educare, significa fare unità, altrimenti quel poveretto che ha cinquanta proposte finirà per scegliere sempre il livello più basso.

Lavorare dunque tenendo presente non quello che io devo fare: “Ah! Io sono Chiesa, ah! Io sono scuola, ah! Io sono famiglia mi occupo solo di questo, guardo solo questo aspetto qui”. Lavorare in vista della formazione, della maturità, significa piuttosto lavorare in unità. Significa lavorare non a partire dal mio compito ma dal destinatario. Lavorare a partire dal destinatario significa che io non posso più programmare secondo la mia natura: “sono Oratorio devo fare attività oratoriana, sono scuola devo insegnare, sono famiglia devo… significa rispondere, inventare risposte sugli obiettivi, e bisogni educativi dei destinatari. Dunque, se voglio essere coerente, nella mia programmazione devo partire da quell'obiettivo e, nella coerenza, dire: affinché quel ragazzo possa diventare una persona, avendo queste situazioni di partenza, quale contributo ciascuno può dare. Contrariamente, è sbagliato dire: “io faccio questo, poi se tu vuoi vieni, se tu non vuoi non vieni”: è importante ricercare questa unità.

Nella situazione attuale invece, segnata dalla ripartizione delle agenzie, il ragazzo passa, come nel gioco che si fa nella festa dell'Oratorio, da un box all'altro. In ogni box c'è un gioco e non è detto che lui impari a giocare. Se proviamo a vedere diversamente allora l’obiettivo è: lui deve imparare a giocare e la domanda da porsi è: io come contribuisco? Come glielo spiego? Questa rivoluzione della pedagogia centrata sugli obiettivi e sui destinatari e non su quello che devo fare, suppone un fortissimo coordinamento, suppone il superamento del dire: “A beh! Io sono maestro, devo insegnare la matematica! Ah io sono in parrocchia devo insegnare la prima comunione, Gesù".

Nel Territorio esistono diverse agenzie, esistono diversi destinatari e la situazione sta scoppiando poiché non c'è un educatore generico che, come il medico di base, fa sintesi di tutte queste cose E chi sa che non sia questo il futuro dell'Oratorio: luogo di sintesi educativa e della proposta formativa. Quella realtà che proprio perché è gratuita, perché ha passione della vita, decide di costituirsi, non solo per incontrare il ragazzo ma, primariamente, per incontrare tutti quelli che incontrano il ragazzo e, in nome dell'autenticità educativa e del benessere del ragazzo, dice che cosa dobbiamo fare in quel determinato contesto. Se ci sono dei diseducatori, l’Oratorio incontra i diseducatori. Se il tempo libero significa andare a spendere £ 10.000 alle sale giochi quest’incontro è per dire: “Vuoi che ti facciamo un sit-in di protesta, o calmieri i prezzi per cui dopo le £ 4.000 gli dici: « torna a casa, chiedi il permesso a mamma » ”. Allora l'Oratorio va incontro al Territorio, non con la priorità di esportare le sue ricchezze ma collocandosi come profeta, profezia rivendicatrice e rivendicatore di un bisogno di unità educativa. E' da qui che nasce tutto il discorso del lavoro di rete, collaborazione, analisi, sintesi, ecc. l'attivazione di tutte le risorse formali o non formali che non sto qui a spiegare. Ecco, mi sembra che se il soggetto educativo è il Territorio, e di fatto, educa il Territorio, questi ha bisogno di un coordinamento educativo che, a livello giovanile, potrebbe essere l'Oratorio. Questo non significa che l'Oratorio chiude o fa soltanto progetti. L’Oratorio come luogo ha anche i suoi spazi. Ma soprattutto l’Oratorio dovrebbe diventare Oratorio come ambiente, come luogo dell'incontro di coloro che hanno la passione per la crescita del soggetto (ragazzi, fanciulli, adolescenti) sotto forma di prevenzione del disagio in una proposta educativa unitaria che non porta dentro i destinatari ma crea delle reti protettive; crea o ricrea un tessuto unitario nella pluralità dei percorsi.

         

 
In Sintesi

1.       non si può educare alla fede se non si educa la persona perché ciò porta ad essere al massimo socializzante ma non può formare delle persone amanti del Vangelo.

2.       il processo formativo - educativo, che ha la finalità di far crescere le persone, ha per soggetto non te, non me, ma il sistema che noi chiamiamo Territorio. E se noi non andiamo ad interagire col Territorio perdiamo tempo o al massimo andiamo a raccogliere quelli che ancora stanno dalla nostra parte, non si sa per farci cosa.

Conclusioni

Le motivazioni, da un punto di vista teologico, ci hanno detto che evangelizzare significa costruire le persone dando loro il motivo che è Gesù Cristo morto in croce. Evangelizzare educando significa evangelizzare tenendo presente che Dio è un poco più intelligente di noi e si è costruito evangelizzatori anche fuori dalla Chiesa. Da un punto di vista pedagogico è la natura dell'atto educativo, sia dentro che fuori il discorso ecclesiale, che esige l'interazione, perché chi educa è il sistema – ove per sistema intendo l'insieme delle istituzioni -. È la qualità dei sottosistemi che se sono in interazione funzionano, se non sono in interazione semplicemente ciascuno tira il ragazzo dalla parte sua.

 

 

 

 


Interventi

 

STEFANO: Sulle motivazioni sono d'accordo: alla domanda di note di Pastorale Giovanile su cosa ci facciamo oggi concretamente degli oratori, si potrebbe più o meno pensare che la preoccupazione è rivolta alle strutture e non allo stile che l'Oratorio ha in sé. Questo problema è oggi particolarmente sentito al nord. A Roma l'esperienza, almeno quella del COR, è una esperienza di stile. Le nostre esperienze di Oratorio all'inizio erano pionieristiche perché fondate fuori dalle strutture chiesa intesa come mura e cemento. Mi chiedo allora quanto effettivamente oggi la Chiesa, la Chiesa che fa le missioni, condivida questi fondamenti teologici. Cioè, le esperienze che tu citavi: l'integrazione, lo sviluppo, l'autenticità che sono tranquillamente accettate poiché Gesù Cristo Liberatore è un testo di teologia. Tuttavia, nella spiegazione pratica o nelle conseguenze, la Chiesa è spesso andata un po' lontano da questo. Quindi il discorso ricade sullo stile. Oggi si ha l'impressione che la Missione alla gente è come quella dei primi missionari nell'America Latina: “Distruggiamo tutto che qui finalmente arriva lo Spirito Santo”. Lo stile della Missione cittadina è stato un po' questo. Allora, salva l'indicazione teologica che dovrebbe riflettersi sullo stile, la struttura Oratorio o comunque gli oratori sono legati ulteriormente a questo punto di vista e a queste esigenze (N.d.R.: quelle della Chiesa Italiana). Ma cosa può fare effettivamente un elemento, dal basso, per contribuire a questo? Altrimenti o rischiamo di trovarci di fronte ad un'idea che dice: “no, i valori dell'evangelizzazione sono all'interno della parrocchia”, oppure andiamo nel Territorio. E quindi, come può fare l'Oratorio per recuperare questo dibattito?

DON LUCIANO: Ti rispondo. Questo discorso lo avevo inserito nelle strategie ma te lo anticipo volentieri. Arrivando al succo: andiamo a cercare gli ambienti, se dicono di far questo, ma con lo scopo di andare a cercare quelle esperienze, quelle persone che pur non avendo l'etichetta sono ministri del Regno di Dio. Se questo può essere la spinta, l'occasione non per andare a riconquistare i luoghi o a mettere i capisaldi, ma per andare a conoscere quello che forse ancora non si conosce, allora ben venga. Io posso usare l'involucro ma ci metto un contenuto che deriva da un progetto un pochettino più ampio. Così farei. Un mio amico diceva: “nel frattempo che passano i barbari custodiamo i manoscritti nel monastero, nei sotterranei perché al tempo opportuno possiamo riaprirli”. Cioè, non ci spaventiamo tanto di questa faccenda che è sempre stata così, e sempre sarà così, lavoriamo piuttosto per i collegamenti reali, non per i collegamenti fittizi come spesso adesso avviene. Ad esempio i grandi raduni dei giovani non creano comunicazione con i giovani, ma creano uno sfruttamento reciproco: il giovane sfrutta l'organizzazione per avere il suo contatto, l'organizzazione sfrutta il giovane per avere la mano tesa con l'autorità. Ad un livello concreto questo significa non stare a discuterci troppo ma andare a costruire frammenti di salvezza reale. D'altra parte se Gesù Cristo voleva un riconoscimento giuridico si faceva sacerdote. Invece lui ha scelto di non essere prete, ha scelto di essere uno della comunità nella comunità. Con questo non dico che Gesù Cristo non si è interessato del tempio: l'hanno ammazzato! Quindi il rapporto col tempio, con l'istituzione ci sta sempre.

MILENA: In uno degli incontri per la Missione cittadina, tenuto dal nostro Vescovo di Settore, ove si è discusso su come cercare il contatto con il Territorio scoprendo le persone che incarnano lo spirito di salvezza, riflettevo su come veniva presentata la tipologia delle persone che i missionari cittadini avrebbero potuto incontrare. La cosa che faceva rabbrividire è che lui diceva: “voi vi potrete trovare dinanzi a persone divorziate non risposate, persone divorziate conviventi, persone che hanno…” e suggeriva ai missionari di non addentrarsi in discussioni sulla loro vita personale ma, nel caso gli fosse domandato qualcosa, la risposta doveva essere ferma perché la Chiesa condanna questo. Pensare che noi non avremmo incontrato persone ma avremmo incontrato categorie, secondo i vari temi, con cui confrontarsi, faceva venire i brividi. Questo dimostra anche una poca considerazione delle persone che, al di là del fatto che possano avere una maturità di fede o meno, sono persone che hanno fatto le loro scelte e che tu non devi considerare come categorie. È triste dover notare che effettivamente l'immagine che ha un certo tipo di Chiesa della gente è questa: la gente divisa in categorie che rispondono o non rispondono ai fermi requisiti della Chiesa.

DON LUCIANO: questo è molto grave. C'è tanta gente, c'è un po’ di gente che, non adeguata alla struttura ecclesiastica, è veramente costruttrice del Regno di Dio. Conosco personalmente delle famiglie, coppie divorziate o semplicemente dei conviventi che sono degli operatori del Regno di Dio unici. D'altra parte la lettere ai corinzi dice: “Nessuno può dire Gesù è il Signore se non è mosso dallo Spirito”. Cioè, come è possibile che certe persone danno la vita per gli altri se dentro non ci sta lo Spirito Santo? Beh! Se non fosse vero questo allora che cosa ci stiamo a raccontare, lasciamo perdere.

GIOVANNI: Evangelizzare non significa indottrinare, inculturare, cercare di imporre nozioni o idee su chi è Gesù, cosa che purtroppo oggi succede. Evangelizzare non significa neanche spiegare che cosa sono i sacramenti, chi e quando li ha istituiti. Purtroppo, la domenica mattina, al catechismo, succede proprio questo. Durante l’esperienza di Oratorio che ho vissuto negli ultimi due anni mi sono accorto che la realtà dei ragazzi è diversa e molto più bella di quello che noi normalmente immaginiamo, spesso si accorgono delle cavolate che gli insegnano. Un esempio pratico: un giorno si doveva fare un corso ad alcuni ragazzi sul senso della salvezza, su cosa significa ‘trovare la luce’ e quindi gli si è raccontata la storia di un uomo di nome Scrug che ha vissuto parte della propria vita nel buio e poi è stato ‘illuminato’ dall’incontro con un povero. Subito dopo i ragazzi mi hanno detto: “A Giovà, gli dici qualcosa? Ancora stamo co Scrug, la mia ragazza ieri m’ha lasciato, ancora stamo a parlà de Scrug...”. Hanno ragione! Io gli ho detto: “Si però Scrug ha molti significati che ti possono aiutare...”. La realtà è che spesso il Territorio è più avanti dell’Oratorio. Il problema della formazione e della evangelizzazione è la carenza di formazione dei catechisti ed animatori che quindi si trovano impreparati. Ed il motivo è la mancanza della tradizione della formazione degli educatori...

DON LUCIANO: Aggiungo che forse il modello formativo non è adeguato. Sono d’accordo con quello che tu dici e rilancio una cosa a cui credo molto! Molte volte la separazione tra fede e vita sta, anche se non ce ne accorgiamo, nella proposta stessa. Siamo noi che, mentre stiamo proponendo la salvezza, gli stiamo proponendo la nostra salvezza. Tu hai fatto l’esempio di quello che io chiamo:bisogno evolutivo del rapporto uomo - donna’ tu lo hai chiamato: ‘la ragazza m’ha lasciato’. Questo non può essere lo sfondo di una ipotetica salvezza. Non sarà tutta la salvezza di Gesù Cristo ma sicuramente c’è qualcosa che è collegato; ci deve essere un maggiore rapporto tra quella che è la quotidianità della vita con le sue esigenze, con le sue speranze e le sue sconfitte, e questo orizzonte di senso che è Cristo.

GIOVANNI: Soprattutto la Parola, il Vangelo. Faccio un altro esempio. Ad un bambino, particolarmente esagitato,  ho fatto leggere un brano del Vangelo che parla dell’accoglienza e del fatto che Gesù non è venuto a giudicare ma ad accogliere. Ebbene, il bimbo ha letto il brano con un vocione ed allora lo ho fermato e gli ho chiesto come immaginava fosse Gesù. Il bambino lo pensava grosso, col barbone, tutto serio: l’autorità insomma. Questo è il problema di come normalmente si percepisce la Parola: l’imposizione di qualcosa che viene dall’alto, l’antiliberazione, l’oppressione. Di conseguenza la Parola viene ‘gettata via’ non appena usciti dall’Oratorio mentre il fine dell’educazione dovrebbe essere far capire come la Parola è il contrario di quello che si immagina: è la liberazione.

DON LUCIANO: Quello che hai detto non entra nel nostro tema, rientra nella modalità catechistica, ma è molto vero. Secondo me bisogna farla finita di programmare la richiesta o l’offerta educativa della fede. Finché non c’è un minimo di richiesta vera, finché non demoliamo questo sistema di falsa domanda ed non introduciamo un sistema di vera domanda, la Parola è socialmente riletta come oppressione e non come annuncio di salvezza.

MARCO: Il sistema attuale non condivide questa cosa, realizza ‘un’operazione operazione di marketing’ che non funziona, sia nei contenuti che nell’aspetto.

DON LUCIANO: Non sono d’accordo con quello che dici: è un buon marketing che funziona in ordine ad una rinnovata sensazione che: “siamo tutti cristiani”. Non in ordine ad una esperienza di vita che si libera.

MARCO: Io l’ho vista come un’operazione di marketing che su di me non ha presa,  la sento una cosa distante, un contenitore vuoto. Ad alcuni ragazzi, ad esempio, la missione cittadina è parsa una cosa fondamentale.

DON LUCIANO: Perché è un’attività, un contenitore vuoto...

MARCO: Il problema è che un vuoto che va a colmare un altro vuoto..

DON LUCIANO: L’obiettivo reale di tutta questa faccenda – la Missione Cittadina - è ricreare una formale adesione ad una istituzione non ad un progetto di vita. Tutta questa gente si ritrova di nuovo lì a ridire: “Io appartengo alla chiesa”. Anche la pubblicità dell’otto per mille di quest’anno ha il target del piccolo imprenditore, della persona dallo stipendio di sei milioni al mese, che dice: “Certo, io metto la firma perché sono cattolico!”. Dietro questo c’è un bisogno di ricompattazione all’istituzione che non significa una condivisione del progetto evangelico, e non è detto che aiuti le persone ad essere se stesse.

MILENA: A me istintivamente dava fastidio, mi sembrava assimilabile alla pubblicità del caffè. Mi sembravano degli attori: quella tutta preoccupata che diceva: “allora anch’io ho fatto qualcosa di importante!”. Forme vuote di comunicazione!

DON LUCIANO: Queste forme ricreano l’appartenenza sociale. In una situazione sociale in cui c’è paura per il futuro, in cui c’è paura per l’estraneo, l’extracomunitario che viene, in cui la sicurezza non è più nelle istituzioni, la gente ha bisogno di sentirsi gruppo, di sentirsi appartenente. L’obiettivo è quello di ricreare un’appartenenza, ed è proprio questo il successo dell’otto per mille. Tu sei cristiano perché? Perché ho dato l’otto per mille! E poi io vado a richiedere il battesimo, ma è un battesimo sociologico.

GIOVANNI: Riprendendo il discorso sul rapporto uomo - Territorio, ho chiesto a due ragazze: “Che cosa vorresti veramente nella tua vita?” una esternamente all’Oratorio e l’altra all’interno. La prima ha risposto: “Voglio essere felice”, la seconda invece: “Voglio piacere a Dio e voglio fare cose buone per il Signore”. Mi chiedo se le due risposte sono equivalenti. Secondo me no! La prima è incondizionata, aspira alla libertà, mentre la seconda pone la condizione ‘Dio mi deve voler bene’. Mi chiedo se forse non creiamo un moralismo.

STEFANO: Mi chiedo se non c’è il rischio, visto che dobbiamo fare gli educatori, di fare dei patti con la realtà che andiamo a proporre perché, se da una parte ci sono dei grossi testimoni cristiani anche in situazioni familiari non lecite, dall’altra siamo catechisti di una chiesa che esclude dall’eucarestia questo genere di persone, allora il problema si riconduce alla creazione di un doppio modello di educatore. Da una parte ci dicono che siamo attenti ai bisogni del Territorio ma poi c’è una istituzione con la quale confrontarci.

DON LUCIANO: E’ urgente che l’unico processo educativo - ecclesiale per il mondo giovanile ritorni ad essere polivalente perché c’è una sola struttura educativa che è insieme formativa, socializzante, iniziante, catechetica e sacramentale ed ogni obiettivo va riportato ad itinerari concomitanti ma separati, un educatore deve patteggiare con il Territorio, bisognerebbe almeno che ci fosse un’offerta educativa generica che poi si interrompe e diventi ad esempio un itinerario per la comunione (in quest’ottica basterebbero tre mesi per il corso di preparazione alla prima comunione). Bisogna passare dall’uniformità della struttura educativa al rispetto delle domande, delle offerte, dei momenti, delle esigenze, degli obiettivi.

ROCCO: Ma saltando l’itinerario educativo, come è possibile finanziare la chiesa cattolica, oltre che con l’otto per mille? Al di là della provocatorietà della domanda sto a dire che dietro c’è un meccanismo sociologico abbastanza formidabile che non so quanto può essere scardinato. Al di la del puramente istituzionale c’è un gioco di potere, ideologia e mercato. (N.d.R.: facendo riferimento ai fatti storici del Salvador), il moloc della Chiesa è difficile da sconfiggere: esso manda un fuoco non metaforico. Vi sono esigenze simboliche e di simbolizzazione unitaria che creano identificazione. Queste sono cose che non si possono trascurare, altrimenti si lasciano al calcio. Qualsiasi struttura che voglia presentarsi ed avere un minimo di credibilità sia al livello di incidenza che al livello di identificazione, ha bisogno di un minimo di autoreferenzialità.

STEFANO: Poiché operiamo non soltanto come educatori ma affermiamo alcuni valori della chiesa, dobbiamo stare attenti ai cosiddetti ‘cani sciolti’, persone che possono risultare simpatiche ma che non sono riconducibili ad una cornice d’insieme. Poiché comunque un generico educatore può avere una importante funzione sul Territorio, in attesa che la chiesa si ‘converta’, cerchiamo di utilizzarli il più possibile. Va bene che si passa attraverso le singole esperienze, ma i modelli sono tanti, i bisogni religiosi sono molti e confusi. Vai a capire quanto siamo disposti a rinunciare alla statua in chiesa od al vestito di prima comunione per tutta una serie di esigenze antropologiche, che non sono necessariamente sbagliate, e che comunque non è semplice dire che sono sbagliate.

DON LUCIANO: Da queste posizioni bisogna arrivare ad una sintesi che non è quella attuale. Bisogna trovare quello che io chiamo la teoria dell’esplosione dei luoghi’. Che la società in certi momenti ha bisogno di questi riferimenti, d’accordo. Il problema è perché li devo dipingere di sacramento.  Nella stessa offerta separiamo esperienze religiose, esperienze di socializzazione, esperienze di fede.