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Grandi Parole: Misericordia, attualizzazione
Attualizzazioni:
il significato psicologico della misericordia
Anche se, come temine lessicale è molto poco usato, in senso psicologico la misericordia costituisce una profonda esperienza esistenziale, che a volte consiste nel vissuto liberatorio di poter ottenere perdono e riscatto dalle proprie inadempienze e negatività, altre volte si identifica con l’aspirazione verso un amore totalmente e teneramente donato, fedele, costante e gratuito.
Tale tipo di amore, che si ritrova come un desiderio radicato, anche se non sempre consapevolmente, in ogni essere umano, è legato in modo sostanziale al concetto di misericordia, perché chi ama in questo modo accetta ed accoglie anche il limite dell’altro e quindi pure la sua colpa e le sue debolezze.
Ciò sembra rievocare l’accettazione incondizionata di rogersiana memoria; in realtà è bene distinguere, perché questa è spesso male interpretata e troppo collegata con la tendenza all’attribuzione esterna di ogni responsabilità ed a quell’idea di ‘indulgenza a buon mercato’ di cui parlavamo prima, più che con la ricerca oggettiva del bene dell’altro, che è l’elemento fondante della misericordia. Questa non ha bisogno di negare la realtà ma attraverso il riconoscimento dell’altro come degno comunque di amore, gli permette di sperimentarsi come valore da preservare. La misericordia sa coniugare amore e verità.
L’esperienza esistenziale della misericordia può essere vissuta nei due sensi: passivo, cioè sentirsi oggetto di tale amore misericordioso, ma anche attivo, nello sperimentare che si può amare così, esprimendo con i limiti propri dell’essere umano, fedeltà, capacità di perdono, benevolenza.
Tale esperienza può avere carattere di minore o di maggiore complessità: può riferirsi ad una singola situazione della vita o ad un momento particolare in cui ci si sente perdonati o si perdona. Oppure può accompagnare in modo costante il nostro cammino e cambiare completamente il nostro modo di leggere la realtà; ossia l’esperienza di essere oggetto o soggetto di misericordia diviene una “peeck experience” che viene “custodita nel cuore” e ci guida ad un diverso modo di percepire noi stessi, gli altri, le priorità.
Per fare esperienza in senso passivo dell’amore misericordioso è necessario:
1) Cogliere la bontà dell’altro che ci ama: presuppone il superamento della paura e la piena fiducia nell’altro, percepito come buono.
2) Percepire il proprio limite da parte di chi sente accolte anche le proprie imperfezioni: questo presuppone una relazione di disparità.
3) Integrare gli aspetti discordanti della relazione: chi riceve misericordia dovrà fare una sintesi tra l’immagine positiva dell’altro e quella negativa di se stesso, che però deve rimanere amabile e degno di valore. L’integrazione è necessaria perché non si può fare autentica esperienza di misericordia se non si acquisisce la capacità di amare se stessi in modo maturo; bisogna credere che l’altro è buono, ma che anche noi siamo degni di amore, anche con le colpe e le fragilità che ci distinguono.
Essere oggetto di amore misericordioso è terapeutico perché imparare ad accoglierlo presuppone il superamento:
a) del narcisismo (ci sono solo io e non riconosco nessun ‘tu’ come oggetto di valore);
b) dell’onnipotenza (non vedere il proprio limite);
c) della paura (l’altro è il nemico);
d) dal senso di colpa immaturo e sterile (timore delle punizioni, percepisco solo l’enormità dell’errore e le conseguenze che potrà avere su di me).
Esperienza di misericordia in senso attivo significa che possiamo accogliere l’altro nella sua fragilità, saper comprendere e perdonare. Perché questa sia possibile è necessario che sia preceduta da quella passiva (“Nemo potest dare quod non habet”) e presuppone la consapevolezza che anche noi siamo vulnerabili. Questo permette la vera misericordia, che non è mai offerta con senso di superiorità e distacco. Comporta quindi una sintesi tra capacità di donare e consapevolezza della propria fragilità.
Quanto detto riguardo all’esperienza psicologica della misericordia non può essere direttamente applicato, per la incommensurabile disparità ontologica, al rapporto con Dio, che per il credente costituisce il parametro di ogni amore misericordioso; è certo però che l’avere fatto o no esperienza prima passiva e poi attiva di amore gratuito può facilitare o essere di ostacolo all’accoglienza della misericordia di Dio.
Sapere che qualsiasi nostra colpa può essere riscattata e perdonata spinge verso il miglioramento e sostiene nella crescita. Per es. un bambino che ha commesso una colpa anche piccolissima, sarà bloccato nella sua maturazione se pensa che la sua colpa non sarà perdonata e che da ciò deriva la perdita dell’amore dei genitori (quindi della sua stessa possibilità di sopravvivenza).
Essere misericordiosi verso chi crediamo ci abbia fatto del male rimette in gioco moltissime energie, che il rancore e l’odio tengono bloccate. Solo con questa libertà interiore possiamo muoverci verso la nostra piena umanizzazione, per il cui raggiungimento l’amorevole benevolenza di Dio costituisce l’humus vitale.
Attualizzazioni: l’aspetto sociale della misericordia
1) L’uomo non può umanizzare se stesso, se non lavorando per l’umanizzazione di tutti.
2) Non c’è misericordia, se non si persegue anche la giustizia, che è anche equità sociale, opportunità per ogni essere umano.
3) Non possiamo essere veramente misericordiosi se non ci mettiamo in discussione e riteniamo di non avere bisogno di misericordia a nostra volta. Tutti gli integralismi nascono dal sentirsi completamente, e solo noi, nel giusto.
Grandi Parole: Misericordia nella Scrittura
Nell’A.T.
La parola italiana ‘misericordia’ deriva direttamente dal latino ed è composta dalla radice del verbo ‘miserere’ = ‘avere pietà’ e da ‘cor-cordis’ = cuore. Quindi, ‘avere un cuore che sente pietà’.
Nel testo ebraico vengono usati due diversi vocaboli per indicare il Dio misericordioso:‘rehamim’, che significa ‘viscere materne’, cioè un sentimento intimo che lega profondamente ed amorosamente due esseri in relazione, e ‘hesed’, che indica piuttosto un atteggiamento di amore e compassione, che deriva però da una decisione consapevole all’interno di una relazione che comporta diritti e doveri e che è comunque asimmetrica (es. da genitore a figlio, da padrone a servo, da marito a moglie, secondo la cultura del tempo).
I due o tre termini usati nella testo greco dei Settanta sono abbastanza equivalenti, con qualche sfumatura diversa, ai concetti espressi nel testo ebraico.
Nel N.T.
1) Gesù è ‘icona del Padre delle misericordie’: è amorevole verso i poveri ed accogliente verso i peccatori, sana i malati e rimette i peccati.
2) L’amore del Padre, che Gesù incarna, pur gratuitamente offerto, chiede una risposta di adesione, per poter espandersi completamente nell’essere umano.
3) L’amore è ‘circolare’: la misericordia di Dio, attraverso Cristo, si riversa sugli uomini e si espande da un individuo all’altro, per poi ritornare alla primitiva sorgente di tale amore (2Cor 1, 3-4 ).
M.F. Nannini (2.segue)
Grandi Parole: Misericordia: esperienza
Nel nostro linguaggio comune, la parola misericordia è sinonimo di pietà, compassione magnanima, perdono (es. atto di misericordia, invocare misericordia…). Spesso è usata anche, con una sfumatura ancora più minimalista, nel senso di indulgenza a buon mercato, quasi in contrapposizione alla parola ‘giustizia’. (Potremmo portare come esempio l’attuale contenzioso tra favorevoli e contrari alla richiesta di grazia per il nazista Priebke). Comunque è un termine poco usato, mentre ricorre parecchie volte nei testi sacri come una delle attribuzioni fondamentali di Dio.
Il mio interesse all’approfondimento di questa parola deriva proprio dalla sensazione che si ha leggendo i passi biblici e neotestamentari che parlano della misericordia di Dio: personalmente ho l’impressione di trovarmi di fronte a qualcosa di incommensurabile in termini antropomorfici, qualcosa di strettamente collegato al mistero della divinità. Credo che il significato profondo di ‘misericordia’ sia molto più ampio di quello che le singole espressioni linguistiche sottendono.
Più ancora del termine ‘amore’, così inflazionato ed anche ambiguo nel significato corrente, la parola ‘misericordia’ mi interpella intimamente, mi spinge a capire di più, a cercare di tradurne i significati profondi attraverso categorie culturali attuali che li rendano più accessibili all’uomo di oggi, pur con la consapevolezza che il risultato sarà comunque riduttivo.
E’ solo con grande umiltà che possiamo cercare di coglierne alcuni aspetti, a partire dalle sfumature di significato delle espressioni lessicali con cui si è cercato di descrivere questa non misurabile attribuzione divina: di fronte a questo Dio, ricco di misericordia e di grazia, l’uomo non può che tacere per lasciarsene avvolgere, entrando nel mistero con la coscienza del proprio limite.
Prima di analizzare brevemente, attraverso gli svariati termini con cui nelle scritture si descrive il Dio misericordioso, nel tentativo di scoprirne tutte le sfumature di significato, vorrei aggiungere due riflessioni: la prima riguarda la costatazione che nell’Islam Allah è definito ‘il compassionevole’ e che anche per il Buddismo la compassione è il vertice, il punto di tensione che unisce l’uomo al divino. Questo attributo divino potrebbe costituire quindi un punto di unione tra le grandi religioni, ma anche un elemento di differenziazione, se la parola fosse là intesa in un senso più riduttivo rispetto a quello che si intuisce abbia nella concezione cristiana di misericordia.
Nel mio sforzo di comprensione mi è sembrato, e questa è la seconda riflessione, che la connotazione etica (perdono dei peccati, compassione per le debolezze umane, offerta di redenzione e di riscatto…), anche se nella riflessione ecclesiale si è dato spesso maggiore risalto a questo aspetto, non esaurisca il significato profondo del termine ‘misericordioso’, ma che si possano scoprire altre connotazioni, ontologiche, sociali, psicologiche, di grande interesse e rilevanza.
M.F. Nannini (1.segue)