La responsabilità dell’annuncio. 3. La necessità di un ripensamento del kerigma

seminatore

Quanto affermato [La responsabilità dell’annuncio. 2. Nuovi scenari per l’annuncio oggi] porta a concludere che nuova evangelizzazione, rinnovato annuncio o compito dell’annuncio, chiede un ripensamento della formulazione del kerigma stesso. L’annuncio oggi deve dialogare le radici e prospettive culturali del nostro tempo. Il processo di evangelizzazione e di inculturazione del messaggio è segnato dalle caratteristiche che possono essere lette alla luce della presenza di Dio nella storia.

In questa complessa situazione occidentale (ma non solo) si avverte la necessità non solo di una ripetizione dell’annuncio, ma soprattutto di una qualche rifondazione del racconto cristiano che dia senso alla interpretazione della storia e generi (come un nuovo tema generatore) un nuovo quadro delle finalità della esperienza cristiana.

Lo riconosce anche Benedetto XVI[1].

“Ma come detto, in questo grande contesto la religiosità deve rigenerarsi e trovare così nuove forme espressive e di comprensione. L’uomo di oggi non capisce più immediatamente che il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri peccati. Sono formule grandi e vere, e che tuttavia non trovano più posto nella nostra forma mentis e nella nostra immagine del mondo; che devono essere per così dire tradotte e comprese in modo nuovo. Dobbiamo nuovamente capire, ad esempio, che il concetto di male ha davvero bisogno di essere riconcepito. Non lo si può mettere semplicemente da un canto o dimenticarlo. Deve essere riconcepito e trasformato dal suo interno».

 

Nuovi racconti per interpretare la fede

Quando diciamo annuncio pensiamo alla proclamazione del Vangelo. Ma la comunità che annuncia e il singolo evangelizzatore ha bisogno anche di una sintesi o simbolo attraverso cui collegare tutti i fili delle diverse interpretazioni. Ha bisogno di un credo per “articolare” o declinare la propria fede. La storia della Chiesa ci ha consegnato molteplici redazioni di “Credo” che ci fa comprendere la necessità continua di riformulare l’esposizione della fede. Il XX secolo ci ha offerto numerose indicazioni chiamate “formule brevi” e la stessa catechesi italiana ha concluso molti testi catechistici con nuove formulazioni del Credo[2].

Se il nostro tempo indica la crisi dei grandi racconti, questo vale anche per il racconto cristiano che negli ultimi secoli ha veicolato e interpretato il kerigma. La crisi della missione deriva anche dalla crisi del racconto tridentino della fede cristiana, che limitava l’immensa esperienza di Gesù al “morto per noi, ci perdona i peccati e ci apre il paradiso”. Questa prospettiva redentiva, è vera, ma oggi non risponde più alle domande fondamentali della cultura. È una verità che rimane vera, ma che non incide, non diventa dinamica di esistenza. Abbiamo bisogno di nuovi temi generatori per ripresentare l’universo del messaggio cristiano in modo “empatico”, dare avvio alla riflessione e ricollocare il mistero della redenzione e santificazione.

Un nuovo racconto non può non nascere che dalla narrazione messianica, dall’annuncio di Gesù che precede e da significato all’annuncio su Gesù. Questa era assente nella predicazione e catechesi di Trento e viene introdotta nella chiesa solo con il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). Tutta la teologia del XX secolo è stata dedicata al recupero del rapporto tra Gesù della storia e Cristo della fede. In campo missionario questo si è condensato nella discussione sul valore e recupero teologico dell’annuncio del Regno[3].

A partire da questo racconto fondativo noi avremo una declinazione del kerigma in almeno tre vie, tre grandi modelli per “dire” il mistero della salvezza e il ruolo determinante di Gesù. Il primo sottolinea il carattere redentivo del mistero pasquale; il secondo ne sottolinea il carattere spirituale; il terzo mette in evidenza il suo significato storico e cosmico.

Nel primo modello il punto di partenza è l’incapacità dell’uomo a vivere secondo il volere di Dio manifestato nella Legge. Il senso della morte di Gesù è che attraverso Lui il Padre ci perdona tutti i nostri peccati e le nostre colpe e noi abbiamo accesso al Paradiso dopo la morte. A ciascuno di noi può arrivare la stessa grazia redentiva donata da Cristo sulla croce. Il sistema sacramentale infatti permette ad ogni uomo di accostarsi alla fonte della salvezza in ogni tempo e luogo. Compito della Chiesa è garantire questa amministrazione e assicurare questa presenza. Nei secoli questa impostazione ha portato a diverse distorsioni ma non si può disconoscere il bene che ha fatto e che fa questa interpretazione.

Già nel NT è presente una interpretazione spirituale della esperienza di Gesù (secondo modello). Egli è colui che ci dona lo Spirito promesso. Il senso della morte di Gesù è che attraverso questa morte Dio ci mostra il suo irreversibile amore che possiamo “godere” in anticipo. Lo scopo del dono dello Spirito è la vita spirituale. Questa impostazione diventa il fondamento della spiritualità come in altre religioni. Spiritualità intesa come sviluppo dell’insieme delle energie interiori e come esperienza del mistero di Dio. Nella nostra contemporaneità si sottolinea il ruolo dello Spirito come fonte della realizzazione psicologica della persona e come possibilità di guarigione. Lo Spirito è l’energia seminata da Dio nel cosmo e dentro noi stessi.

Sono proprio i Sinottici che pongono l’azione di Gesù nella linea dello Spirito ancora prima della Pasqua. In questo terzo modello Gesù riceve lo Spirito nel Battesimo per essere sospinto nella sua missione. Per la potenza dello Spirito Gesù guarisce, perdona, annuncia, libera, difende i deboli da ogni forma di potere. Il senso della morte di Gesù è che nell’evento pasquale viene affidata alla comunità la stessa missione ed energia vitale di Gesù per realizzare il compimento della storia. In questa prospettiva la vita spirituale è intesa come vita cristiana cioè messianica. Lo Spirito rende capace i credenti di continuare le azioni di Cristo. Spirituale è l’uomo che vive la pratica delle beatitudini.

Proprio nella prospettiva del dire la fede della Chiesa a partire dal racconto messianico, a noi sembra opportuno sollecitare l’uso del Padre nostro che crediamo sia la più antica formulazione del Credo cristiano. Esso esprime in modo congiunto la testimonianza di Gesù e la fede della comunità[4].

Dio è Padre di tutti e non solo il protettore di una singola tribù, persona o popolo. Il credente si impegna a non utilizzare il nome di Dio contro altre persone. Dio è trascendente le culture, è nel cielo perché rappresenta l’alternativa alla terra troppo spesso governata dai poteri. Per questo non deve essere manipolabile; il credente si impegna a non utilizzare Dio come fonte di potere. La vocazione religiosa di ogni uomo consiste nel santificare il nome di Dio. La comunità cristiana lo fa impegnandosi nella pratica del servizio al regno. La sua missione consiste nell’inaugurare la sovranità (Regno) di Dio che si manifesta nelle sue opere e parole. L’inaugurazione dell’anno giubilare, soprattutto per i poveri, la convocazione della comunità dei discepoli per continuare la sua missione, i segni della speranza come le guarigioni, il perdono e la moltiplicazione della solidarietà (il pane) sono i segni messianici che manifestano il desiderio di Dio di essere Padre. La comunità chiede a Dio lo Spirito per compiere questa volontà messianica perché la terra sia come il cielo. La comunità si pensa a servizio del pane e della riconciliazione. Condivisione eucaristica e riconciliazione sono il concreto della vocazione messianica. La comunità invoca di essere liberata dalla grande prova: chiede di essere sostenuta nel momento della prova. Quando siamo spinti a desiderare di vivere come gli altri e a non credere alla possibilità dell’avvento del Regno, il discepolo e la comunità gridano: «fa che non cadiamo nella prova» (apostasia della fede).

“Far correre la Parola”

La riflessione sulla possibilità di una riformulazione del kerigma e delle narrazioni attraverso cui annunciarlo è di aiuto anche per la questione più pastorale. Si parla infatti di rinnovare anche la pratica dell’annuncio e di recuperare il primato della Parola di Dio e della Scrittura. Come ci hanno insegnato molti pionieri di questa impostazione della missione, l’uso della Scrittura nella missione e nella pastorale soffre di alcune incertezze. Spesso si è fermata alla semplice fase della demitizzazione dei testi. Proprio per questo molti hanno voluto recuperare la metodologia del “sensus plenior” dei testi anche attraverso il metodo della lectio o lettura orante della bibbia[5].

Il percorso per far parlare la parola segue due momenti importanti: la comprensione del messaggio e il suo significato per noi oggi[6]. Lo Spirito ci rivela i significati profondi attraverso la lettura attualizzante. I Padri e il Medio Evo ci hanno consegnato la lectio e i suoi 4 passaggi: significato del testo, lettura teologica, morale ed escatologica. Per far incontrare Bibbia e cultura ci sembrano utili alcune prospettive che ampliano questa prospettiva. La attualizzazione esistenziale (= come il testo definisce l’esistere dell’uomo) incontra la persona nella sua dimensione di vocazione umana. Tale compito si sviluppa attraverso diversi interrogativi: il senso della vita e la costruzione della personalità. La attualizzazione psicologica (= come il testo legge e guarisce in profondità le motivazioni dell’agire della persona) incontra la persona nella sua complessità biografica che si porta dentro i segni dei fallimenti e dei limiti del proprio spirito-anima. La attualizzazione spirituale (= come il testo sviluppa le energie interiori e le scelte vocazionali) incontra la persona soprattutto nella sua vocazione religiosa e cristiana che pone interrogativi sul senso del linguaggio religioso e del linguaggio cristiano. La attualizzazione socio-politica (= come il testo illumina le scelte di salvezza sociale) incontra la persona in quanto inserita in una comunità umana e chiamata a costruire la sua liberazione integrale come edificazione della fraternità attraverso le mediazioni necessarie. Essa dà risposte al senso della disuguaglianza e della ingiustizia, al fondamento della libertà e dignità umana, alle forme delle mediazioni socio-politiche, al ruolo delle condizioni economiche. La attualizzazione pastorale (= come il testo illumina le scelte della comunità) incontra la comunità cristiana in quanto soggetto di una missione radicata nella vocazione battesimale. Essa chiede al messaggio biblico orientamento per la sua azione, crescita nella sua vocazione, purificazione per i suoi limiti, fondamento per la sua speranza. Il testo offre alla comunità le “parole chiavi” cioè le grandi categorie attraverso cui il popolo di Dio può leggere il suo oggi (kairòs) di salvezza e dare compimento al regno messianico (Lc 4,16ss).



[1] Benedetto XVI, Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2010, 192.

[2] Rahner K., Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, EP, Alba 1977 [1976], Epilogo, 571-580; Tura E. R., Con la bocca e con il cuore. Il credo cristiano ieri e oggi, Emp, Padova 1992; Id., Le formule brevi di fede negli anni ’70 e ’80, in Studia Patavina, 2002, 49,1, 105-108; Dotolo C. La rilettura del simbolo della fede nella teologia dopo il Vaticano II, in Id. (a cura di) , Il credo oggi. Percorsi interdisciplinari, Edb, Bologna 2001, 123-142.

[3] Kasper W., Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia 1972, c. III: Gesù testimone della fede; Kasper W.-Augustin G. (edd.), La sfida della nuova evangelizzazione. Impulsi per la rivitalizzazione della fede, Queriniana, Brescia 2012.

[4] Jeremias J., Il Padrenostro alla luce dell’indagine moderna, in Id., Gesù e il suo annuncio, Paideia, Brescia 1993 [1976], 37-64; Maggi A., Padre dei poveri. Traduzione e commento delle Beatitudini e del Padre Nostro di Matteo. 2. Il Padre nostro, Cittadella editrice, Assisi 1996; Bianchi E., Il Padre nostro. Compendio di tutto il Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008.

[5] Benedetto XVI, Verbum Domini, Esortazione apostolica postsinodale, 2010, 30 settembre: Lettura orante della sacra Scrittura e «lectio divina» [86-87].

[6] Meddi L., Incontrare la Bibbia nel contesto culturale oggi. Il compito attualizzante della pastorale biblica, in Istituto di Catechetica Università Pontificia Salesiana-Pastore C. (a cura), “Viva ed efficace è la parola di Dio” (eb 4,32). Linee per l’animazione biblica della pastorale, Elledici, Torino 2010, 53-66.

3 continua
Meddi L., La responsabilità dell’annuncio. Pratiche di Evangelizzazione, in Aa.Vv., Ho creduto, perciò ho parlato. Contributi della 10a Settimana Nazionale di Formazione e Spiritualità Missionaria. Loreto 26-31 agosto 2012, Missio, Roma 2013, 69-90.

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