Desiderio di riforma

1. Il contributo di M.-D. Chenu e di Y. Congar

Tra gli autori che maggiormente hanno riflettuto sulla necessità oltre che sulla opportunità di una riforma della chiesa e della sua prassi missionaria si deve collocare M.-D. Chenu.[2] In tempi non sospettabili (il suo volume riporta saggi già pubblicati negli anni ’40), la sua riflessione pastorale spinge ad un forte invito al rapporto tra Vangelo e cultura, al rinnovamento anche strutturale della chiesa e all’idea che la povertà è fondamentale per la salvezza (costruzione) del mondo.[3]

Seguendo la disposizione logica da lui data ai saggi del suo testo (ma scritti in anni diversi) si ricavano una serie di indicazioni che sono state punto di riferimento per molti altri autori. La chiesa deve avere il coraggio di accettare la fine dell’era costantiniana (pp. 15-27) perché solo in questo modo può riuscire a costruire una nuova cristianità.[4] Il motivo di tale necessità è certamente sociologico: la progressiva indifferenza religiosa del popolo francese[5]. Ma ancora di più è da ricercare nella esigenza che la grazia ha di continue incarnazioni.[6] Di grande interesse, infatti, è la riflessione per la quale i fattori principali della attuale decadenza dell’era costantiniana non sono solo di natura esterna, ma soprattutto di natura interna e “procedono dalla vitalità stessa del popolo cristiano” (p. 28): il risveglio del vangelo e il primato della parola di Dio, il ritorno ad una chiesa missionaria, il rapporto ritrovato tra poveri e parola di Dio. Questa “ambivalenza” della riflessione di Chenu va segnalata. Si cerca una nuova forma di cristianità perché “sociologicamente” viene messa in crisi la precedente o per effetto di una ricerca di maggiore fedeltà allo spirito del Vangelo? Quale deve essere il criterio primario di una riforma?

Verso dove deve andare la riforma della chiesa? Innanzitutto si tratta di comprendere che l’attuale riforma deve intendersi come riforma strutturale: deve essere un cambiamento per il quale “le istituzioni stesse e non soltanto i costumi, sono spinti a rinnovarsi, mediante un ritorno al vangelo, alla vita primitiva degli apostoli, ai loro carismi, alla potenza creatrice dello Spirito” (pp. 42-45). Prendendo ad esempio e modello “l’esperienza degli Spirituali nel XIII secolo” (saggio del 1953 e qui riportato alle pp. 57-72) egli afferma che le tematiche da affrontare per una profonda riforma della chiesa dovranno essere: il recupero della povertà e il ritorno al Vangelo. Sarà necessario dare nuovamente parola ai laici almeno per quanto riguarda la dimensione della incarnazione della parola nella vita (la predicazione di testimonianza).[7]

Un ruolo indubbio svolse il padre Y. Congar nell’individuare le linee e i criteri della riforma ecclesiale.[8] La riforma è un compito e un desiderio continuo della chiesa e della sua gerarchia tanto che la storia della chiesa è stata la storia delle sue riforme. Anche per lui l’origine immediata della riforma odierna è l’indifferenza religiosa. Quali possono essere le vie di riforma [45-51]? Per evangelizzare il mondo contemporaneo la chiesa possiede certamente il deposito della fede e dei sacramenti. Ma molte cose non possono essere ulteriormente conservate: le formule della catechesi, la struttura poco comunitaria della parrocchia, la mentalità dei chierici, le pratiche di cristianità. Alcune forme del cristianesimo storico devono essere messe in causa.[9] Egli afferma l’esigenza di gesti veri: personalizzati, riferiti concretamente a qualcuno, in modo che esprimano la verità dell’essere cristiano. Oggi diremmo: una continua inculturazione della vita della chiesa e della celebrazione. Occorre che la dottrina torni ad affondare le sue radici vitali nella coscienza degli uomini e li nutra nella loro vita reale. In questo senso si avverte la necessità di riforme non solo individuali ma anche strutturali perchè la riforma evangelica penetra nella cristianità solo se viene messa in discussione la sua struttura sociale. Per questo è necessario adattare o rivedere alcune forme della vita concreta della Chiesa. Quale i criterio fondamentale? Il ritorno alle origine e alle fonti. In questo modo avremo una vera riforma della catechesi e della predicazione, della formazione dei chierici, il culto, la fisionomia delle parrocchie e alcune forme della visibilità della chiesa. Non è sufficiente riferirsi ai canoni: occorre tornare alle fonti come fecero Francesco e Domenico. Ma cosa potrà significare che il criterio della riforma dovrà essere il “ritorno alle fonti”?

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